Giorno della Memoria.

Evocazione d’un genocidio che mise in dubbio la coscienza dell’uomo

 

Servizi di

Claudio Beccalossi

 

   27 gennaio, Giorno della Memoria: ricorrenza internazionale annuale determinata e rispettata per commemorare le vittime del genocidio hitleriano (Olocausto, dal greco holòkaustos, “bruciato interamente” e/o Shoah, dall’ebraico HaShoah, “catastrofe, distruzione”) nei confronti degli ebrei, come stabilito dalla Risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1° novembre 2005, nel corso della 42^ Riunione plenaria (The Holocaust and the United Nations Outreach Programme, L’Olocausto ed il programma di sensibilizzazione delle Nazioni Unite). In precedenza, una 28^ sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 24 gennaio 2005, s’era soffermata sui 60 anni dalla liberazione dei Lager nazisti e dalla fine degli stermini di ebrei.

   La Risoluzione 60/7 decise per il 27 gennaio di ciascun anno la data del Giorno della Memoria, perché, il 27 gennaio 1945, le truppe sovietiche della LX Armata del generale Pavel Alekseevič Kuročkin del 1° Fronte ucraino del maresciallo Ivan Konev, alle prese con l’avanzata dalla Vistola all’Oder, giunsero nei pressi dell’abitato polacco di Oświecim (Auschwitz in tedesco) ed incapparono, liberandolo, nell’orrore del vasto complesso concentrazionario, appunto, di Auschwitz (Konzentrationslager Auschwitz).

    Prima di quanto fissato dalla Risoluzione delle Nazioni Unite, l’Italia aveva indetto formalmente una particolare giornata evocativa, sancita dalla Legge 20 luglio 2000, n. 211 (“Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000.

   L’art. 1 della legge cita: La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

   A sua volta, l’art. 2 afferma: In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa e affinché simili eventi non possano mai più accadere.

   Il 28 novembre 2007, a Berlino, gli 11 Paesi (Stati Uniti d’America, Gran Bretagna, Belgio, Israele, Italia, Germania, Francia, Olanda, Polonia, Grecia e Lussemburgo), tecnicamente proprietari dell’archivio dell’Internationaler Suchdienst (Servizio internazionale di ricerche, https://arolsen-archives.org/en/) della Croce Rossa di Bad Arolsen (letteralmente, Arolsen Terme, comune tedesco situato nel land dell’Assia) ed incaricati della gestione in virtù d’un trattato internazionale siglato nel 1955 a Bonn, hanno ratificato ed inviato conferma al governo tedesco (depositario del protocollo d’aggiornamento concordato a Lussemburgo il 16 maggio 2006) dell’apertura al pubblico di quanto presente e catalogato.  Una notevole massa di documentazione (superstite dalle distruzioni per eliminare prove compromettenti o per gli effetti di bombardamenti alleati), cioè, raccolta dai nazisti su 17,5 milioni di persone finiti nelle loro feroci mani.

   Si tratta, in cifre sintetiche, di oltre 25 chilometri di schedari e di 50 milioni di attestazioni gestiti, appunto prima, dall’Internationaler Suchdienst e diventati accessibili a storici e studiosi, non solo ad oppressi dal regime nazista ed ai loro congiunti o discendenti. Gli Alleati recuperarono il materiale cartaceo in 7mila tra Lager, campi di lavoro, posti di polizia, industrie di guerra. Nel rispetto della privacy, prima l’archivio nominativo era consultabile, su richiesta ed approvazione, unicamente da quanti (singoli od associazioni) cercavano informazioni su casi propri, di parenti o di terzi.

   Un’informativa sul sito https://san.beniculturali.it/web/san in Internet del San (Sistema archivistico nazionale) del Ministero per i Beni e le Attività culturali (oggi Ministero della Cultura), il 1° maggio 2013, titolava “Bad Arolsen: la digitalizzazione del più grande archivio sulla deportazione nazista”. E proseguiva, partendo dall’Internationaler Suchdienst o International Tracing Service, ITS : “(…) istituto nato, a secondo conflitto mondiale ancora in corso, per rintracciare persone disperse o spostate a causa della guerra. Il lavoro di ricerca delle persone si è basato su materiale raccolto all’indomani della guerra dalle potenze alleate, dalla Croce Rossa o da altre istituzioni umanitarie e versato all’istituzione situata a Bad Arolsen (...). Si è, così, costituito un centro di documentazione, informazione e ricerca sulla persecuzione nazista, il lavoro forzato e l’Olocausto, il cui patrimonio documentario è organizzato in quattro sezioni: Prigionieri, Lavoratori forzati, Dispersi e Bambini. Nelle stanze dell’ex caserma delle SS di Bad Arolsen è custodito quello che qualcuno ha definito l’archivio della Shoah, il registro più completo dell’ossessione nazista di documentare e catalogare ogni singolo aspetto dello sterminio”.

   “Gli aguzzini annotavano, in bella calligrafia e su appositi moduli personali, tutto ciò che riguardava le loro vittime, anche informazioni apparentemente irrilevanti: non solo dati anagrafici o i rapporti della cattura e dei trasferimenti, lo stato di salute, ma anche le inclinazioni sessuali, i comportamenti durante gli interrogatori e le torture, i particolari agghiaccianti delle loro reazioni ai brutali esperimenti pseudoscientifici e alle violente ispezioni, come pure il bagaglio d’arrivo, la composizione del rancio, le ferite riportate, persino i pidocchi trovati durante un’ispezione. Fino all’ultimo dato: il giorno e l’orario del decesso, nel dettaglio dei minuti. L’imponente attività di digitalizzazione in corso di avanzata realizzazione agevolerà ulteriormente l'accesso alla documentazione - circa ventisei chilometri di scaffali, cinquanta milioni di fascicoli, mappe, disegni, grafici, quaderni, liste, effetti personali, fotografie, tra cui la famosa Schindler’s list - , già mediata dai numerosi strumenti di ricerca, realizzati con il software Midosa sviluppato dalla scuola archivistica di Marburg disponibili sul sito dell’ITS”.

 

Sulle tracce d’un internamento quale “schiavo” della Germania nazista.

Da Verona al lavoro coatto nel Lager Itzling di Salisburgo.

E la lunga fuga a piedi per scampare alle eliminazioni

 

   Il Giorno della Memoria mi coinvolge emotivamente, sull’onda di quanto vissuto da mio padre Luigi (Brescia, 22 marzo 1921 - Verona, 10 gennaio 1993), costretto a partire per ordine dei nazifascisti come lavoratore coatto da Verona a Salisburgo (nell’Austria dopo l’Anschluss, Annessione, al Reich tedesco), nel Lager Itzling, dove sgobbò fino alla sua fuga per sottrarsi a temute esecuzioni di massa.

   Riuscii a ricostruire a grandi linee la sua vicenda partendo delle informazioni che mi diede col contagocce, aggiungendo poi la personale ricerca di notizie sulla sua permanenza nel Lager ottenute proprio presso l’Internationaler Suchdienst della Croce Rossa di Bad Arolsen (nel suo poderoso archivio il caso riguardante Luigi Beccalossi, inserito nel 1983, è il n. 1.100.649 ed annovera 12 documenti).

   L’internamento venne propiziato dalla dichiarazione d’idoneità al servizio militare dopo ben quattro visite mediche negative a cui fu sottoposto. Per evitare il fronte, allora, non gli restò che tentare la carta dei disturbi alla vista che accusava. Rimase 7-8 giorni all’ospedale militare di Verona tornando a casa la sera (abitava con i genitori Angelo e Maria ed il fratello Severino in via Valverde, indirizzo anche del suo laboratorio da sarto).

   Ottenuto l’esonero dal portare la divisa, venne presto convocato dai nazifascisti al comando di via XX Settembre dove fu pressato perché partisse subito come lavoratore coatto in conseguenza della sua inabilità al servizio militare. Il 19 o 20 marzo 1944 salì su un treno alla stazione di Porta Nuova verso Treviso, luogo di concentramento dei destinati al lavoro obbligatorio in Germania. Il convoglio riprese la sua marcia e si fermò pure a Tarvisio ed a Klagenfurt am Wörthersee “per mangiare una zuppa di rape e del pane nero”.

   Cambiato treno, mio padre scese col resto del convoglio a Salisburgo e tutti furono condotti nel Lager Itzling affollato di provenienti da varie nazioni. Itzling, dal nome del vecchio quartiere a nord della città composto da Gleisdreieck (Osten), Itzling Mitte, Wasserfeld e Austraßensiedlung (Westen). Nel Lager, certo anche per la sua professione di sarto, trovò assegnazione alla fabbrica d’abbigliamento pesante per soldati “Frauscher Sepp”, in cui ogni mattina dovette recarsi per rientrare la sera.

   Di quello che successe in seguito nel suo periodo d’esistenza nel Lager Itzling e presso la “Frauscher Sepp” so solo notizie frammentarie date da brandelli rievocativi e da una mia ricerca effettuata nel 1983 per fargli riconoscere a fini pensionistici l’anno e passa lavorativo a Salisburgo. 

   Allo scopo avevo interpellato l’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti con sede in via Cattaneo, a Verona ed il già menzionato Servizio Internazionale di ricerche della Croce Rossa di Bad Arolsen, in Germania. Quest’ultimo era riuscito ad ottenere da specifici uffici amministrativi di Salisburgo un documento che confermava ufficialmente il lavoro di mio padre presso la “Frauscher Sepp” dal 24 marzo 1944 al 2 maggio 1945, compresi due periodi di malattia (dal 21.04.1944 al 27.05.1944 e dal 31.12.1944 all’8.01.1945). Chissà quali problemi di salute patì, lui che mi sottolineò la fame sofferta nel Lager, appena alleviata dal vitto scarso e disgustoso!

   Il certificato menzionava date diverse (anche se per pochi giorni) da quelle legate alla memoria di mio padre e contenute nelle mie annotazioni. A complicar ancor più il “valzer” di tempi in parziale disaccordo tra loro si sono messe pure poche righe scritte su un foglio da Luigi: “internato in Germania Lager Itzling (Salisburgo) dal 20 Marzo 944 al 15 Aprile 945”.

   Mio padre fuggì con altri dal Lager per la paura di eliminazioni dei lavoratori forzati da parte dei guardiani del campo, ormai consapevoli del crollo della Germania hitleriana. Fece ritorno a Verona dopo giorni di percorso a piedi, nell’ansia d’essere ripreso ed ammazzato sul posto dalle forze naziste in ritirata da sud.

   Nel dopoguerra ebbe a lungo incubi notturni per i bombardamenti da lui vissuti a Salisburgo. E certo solo la conoscenza (e probabilmente qualcosa di più) con un’anonima ragazza del posto, che lo invitava spesso a casa e gli dava da mangiare, gli permise di sopravvivere agli stenti.

   Le circostanze del suo internamento a Salisburgo lo segnarono indubbiamente più di quanto lui dimostrasse accennandone solo su stimolo e mai spontaneamente. Ne parlava a fatica, con una sorta di malinconia e, forse, solo mia madre Delmina ebbe le sue reali, intime confidenze su quel cupo periodo di dura imposizione lavorativa.

    Il mio percorso a ritroso è risultato, purtroppo, parziale. Nemmeno una mia permanenza a Salisburgo servì a reperire ulteriori elementi rispetto alle succinte esposizioni fattemi ed all’attestazione acquisita, a parte l’individuazione d’un certo locale ricordato come Peterskeller o Petersstube, talvolta frequentato da mio padre durante il suo… “soggiorno obbligato” nelle grinfie naziste. Si trattava della Stiftskeller St. Peter, “Cantina dell’Abbazia di San Pietro”, da me rintracciata in Sankt-Peter-Bezirk 1/4. Conferma, comunque, di quanto avaramente emerso sulle traversie di mio padre, in questo riaffacciarsi nella morale collettiva del Giorno della Memoria. Perché la fiamma della stessa memoria venga continuamente alimentata nel suo viaggio tra generazioni…

 

    Le mie ricerche riguardanti il periodo d’internamento da Verona di mio padre Luigi nel Lager Itzling hanno ottenuto un risultato di rispetto istituzionale quasi insperato. 

   Presentata nel 2022 la documentazione raccolta all'Ufficio Territoriale del Governo a Verona che l’ha poi girata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Comitato per la concessione d'una Medaglia d'Onore ai cittadini italiani deportati e internati nei Lager nazisti, art. 1, commi 1271-1276, legge n. 296 del 2006), con una lettera datata 16 gennaio 2023, firmata dal prefetto Demetrio Martino ed allegata ad un’e-mail dell'Ufficio di Gabinetto della Prefettura, sono stato invitato alla cerimonia del 26 gennaio p. v. per il Giorno della Memoria dove mi verrà consegnata la Medaglia d'Onore concessa dal Presidente della Repubblica alla memoria di Luigi Beccalossi. (c. b.)

 

 

 

 

 

Didascalie delle 6 foto di Luigi Beccalossi:

1 - Luigi Beccalossi a 18 anni, nel 1939.

2 - Luigi (a destra) dopo il suo ritorno dal Lager Itzling di Salisburgo, assieme ad un amico compagno di lavoro coatto.

3 - Nel primo dopoguerra in centro a Verona… Luigi è a sinistra.

4 - Ancora Luigi Beccalossi (a sinistra) a passeggio nella città scaligera. Sembra un fermo-immagine di qualche film del neorealismo.

5 - Una serena espressione di Luigi al lavoro da sarto, nei primi Anni Cinquanta del secolo scorso, nell’abitazione in via Valverde.

6 - Luigi Beccalossi poco tempo prima della sua scomparsa..