Dopo gli ultimi casi di studenti universitari a Napoli e a Milano, che si tolgono la vita quando si accorgono o pensano di aver fallito nel loro progetto di studio sono il segno di un male profondo ella nostra società.

L’emergenza suicidi nelle Università non nasce oggi e nemmeno ieri, ma negli ultimi anni i casi sono aumentati, rappresentando uno scenario preoccupante, così che l ’Unione degli universitari ha lanciato una serie di flash mob in tutta Italia per accendere i riflettori su tale fenomeno.

Per gli studenti il problema è nel modello universitario sempre più performativo un disagio che scaturisce dal rischio di fallire, dalla paura di deludere e dall’inadeguatezza nell’ambito dello studio, nel quale nasce una forte pressione a cui sono sottoposti, vivendo livelli alti livelli   di stress.

Proprio tra le mura degli atenei si sviluppano livelli di depressione e ansia più alti che nel resto della popolazione giovanile, nelle quali il perfezionismo mal adattivo ricoprirebbe un ruolo centrale. I dati Istat   confermano una tendenza tragica di circa 4000 suicidi in Italia ogni anno, di cui circa 500 compiuti da giovani al di sotto dei 34 anni, spesso da cause riscontrabili nella carriera studentesca.

In questo contesto è inevitabile far emergere alcune riflessioni che investono la natura del sistema universitario e il modello formativo. Tra i principali segnali di disagio e malessere collegati al percorso di studio tra gli universitari vi sono sentimenti di vergogna, l’incapacità di riconoscere un insuccesso, o il peso della responsabilità nei confronti dei genitori.

Difficoltà nell’ammettere che sia del tutto normale imbattersi in ostacoli nel proprio percorso didattico, ma purtroppo elementi alimentati dalle alte aspettative, troppo spesso irraggiungibili. La retorica del merito che esalta la dura competizione e l’individualismo può avere effetti dannosi sulla salute mentale degli studenti, poiché tale retorica conduce gli studenti a credere che il fallimento è una questione di mancanza di capacità. Questa mentalità gioca un ruolo importante negli studenti tale da sentirsi sopraffatti dalla pressione con una conseguenza di demotivazione a perdere la speranza e quasi sempre lo stesso drammatico modus operandi falsificando esami non sostenuti, sedute di laurea inesistenti pur di soddisfare le aspettative dei genitori.

Le storie di molti universitari che hanno scelto il gesto estremo posseggono punti in comune, entrambe convinti che di fronte alla società occorre apparire perfetti a costo di mentire, e il peso della verità e vergogna diventa così amaramente insopportabile, un circolo vizioso nel quale sembra non esserci via d’uscita.

Bisognerebbe liberare la cultura e l’istruzione dalla dimensione elitaria in cui c’è l’ossessione alla competitività, mettere fine all’esclusiva cultura del merito, ma avere un diritto ad uno studio che contempli la possibilità di rallentare, di procedere con i propri tempi e modi senza essere asfissiati.

Favorire un clima di verità di accoglienza, apertura, uscire dalla logica di sentirsi “falliti” per non aver superato un esame, di sentirsi diversi per essere fuori corso o perché si ha la volontà di cambiare un corso di studi intrapreso.

Fondamentale intervenire con risorse e strumenti adeguati, sensibilizzando i professori a non infondere ansia, a non incutere timore e a non nutrire una sfrenata competizione tra studenti universitari, e laddove necessario fornire supporto psicologico mediante il potenziamento di sportelli counselling.

Attualmente in Italia è doveroso sostenere gli studenti universitari ad intraprendere un percorso universitario in totale serenità capaci di potercela fare.