Dall´alba del 24 febbraio l’Ucraina è sotto attacco. I carri armati russi sono entrati in territorio ucraino e, sorprendendo tutti, non si sono fermati – come era forse prevedibile – alle due province confinanti (e dalla Russia ritenute proprio territorio) del Donbass, proseguendo la propria minacciosa avanzata verso la capitale Kiev. Per tutti coloro che, come me, sono cresciuti con i racconti di guerre e annessioni, fughe e bombardamenti, le immagini che arrivano in questi giorni dall’Ucraina riecheggiano drammaticamente come qualcosa che pensavamo di non dovere più rivivere, quantomeno nel cuore del continente europeo.

Eppure, fino a qualche anno fa non avremmo mai pensato di rivivere una pandemia simile a quella che all’inizio del secolo scorso aveva funestato gran parte del pianeta, anch’essa partita dal vecchio continente. La storia si ripete, sempre e purtroppo. Ma mentre è difficile prevedere fenomeni atmosferici ed emergenze sanitarie, tanto violenti quanto sorprendenti, lo stesso non possiamo dire di fenomeni tipicamente segnati dai comportamenti dell’uomo, per quanto altrettanto insensati e distruttivi.

Non sappiamo ancora quanti morti provocherà questa guerra, nata dall’ingiustificata aggressione ad un Paese sovrano – l’Ucraina, appunto – da parte di una delle grandi potenze mondiali, la Russia di Vladimir Putin; sappiamo già invece che milioni di cittadini ucraini o residenti in quel Paese saranno costretti a fuggire altrove per evitare di finire sotto le bombe o sotto il possibile dominio di uno Stato straniero.

L´Unione Europea ha risposto in maniera decisa e unitaria all’aggressione russa, appoggiando l’Ucraina non solo a parole ma con attrezzature e strutture militari in grado di sostenere la resistenza all’invasione. Una decisione che potrebbe aprire finalmente la strada a quella politica comune estera e di difesa europea più volte auspicata ma mai realizzata. È arrivato infatti il momento, per l’UE, di divenire a tutti gli effetti una potenza, e non soltanto economica. Una potenza di pace, che ripudia la guerra come maniera di soluzione dei conflitti (così come recita la Costituzione italiana) ma che non ha paura di attrezzare e formare un proprio sistema di difesa e sicurezza comune. E in questo quadro, ovviamente, occorrerà ripensare la stessa organizzazione e le finalità della NATO, l’alleanza atlantica alla quale l’Italia aderisce dall’indomani della seconda guerra mondiale.

La risposta europea è stata unitaria anche sul fronte della solidarietà e dell’accoglienza. Con una decisione storica, proprio perché presa all’unanimità, i 27 Paesi dell’Unione si sono impegnati a garantire piena e immediata accoglienza a tutti i profughi provenienti dall’Ucraina. Un accordo che mostra il lato migliore dell’Europa, quello che ispirò e diede vita al lungo e complesso cammino di integrazione nato con i Trattati di Roma del 1956.

Anche la comunità internazionale ha risposto in maniera netta e pressoché unanime a questo attentato alla sovranità nazionale da parte di una potenza ostile; la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che condanna la Russia è stata votata da una vastissima e significativa maggioranza, della quale facevano parte anche il Brasile e tutti i Paesi del Sudamerica (con le sole astensioni della Bolivia e del Venezuela, che non ha partecipato al voto). Non è passata inosservata l’astensione della Cina, che segue con una certa prudenza la situazione.

Nonostante la maggior parte degli analisti prevedano tempi lunghi per questo conflitto, l’ottimismo della volontà e l’ostinazione politica e diplomatica verso la pace dovranno orientare i passi dell’Italia, dell’Europa e del mondo nelle prossime settimane. Lo dobbiamo non soltanto alla pace e alla giustizia sociale, princìpi sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e stelle polari della convivenza umana e sociale; dobbiamo farlo per amore dei popoli russo e ucraino, ai quali ci lega un’antica amicizia nonché profondi rapporti sociali, economici e culturali.

 

 

“CASA D’ITALIA” DI JUIZ DE FORA (BRASILE): GARANTIRE ALLA COMUNITA’ ITALIANA LA CONTINUITA’ DELLA PROPRIETA’ E LA SUA PIENA FRUIZIONE A SERVIZIO DELLA PROMOZIONE DELL’IDENTITA’ ITALIANA IN BRASILE

Il Senatore del Partito Democratico Fabio Porta ha presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale sull’annosa vicenda della proprietà della “Casa d’Italia” di Juiz de Fora, nello Stato di Minas Gerais in Brasile.

L’edificio, costruito negli anni ’30 grazie al contributo di immigrati arrivati in Italia dal Brasile, venne successivamente dato in proprietà allo Stato italiano al fine di evitare un probabile esproprio, come avvenne per numerose istituzioni italiane nel corso degli anni del secondo conflitto mondiale.

Oggi, a distanza di anni e nonostante per decenni l’Associazione “San Francesco di Paola” si sia fatta carico dei costi di manutenzione nonché di tutte le relative imposte, il Consolato italiano vorrebbe mettere in vendita un immobile storico, che è stato peraltro dichiarato patrimonio storico e culturale da parte del Municipio di Juiz e Fora.

Con l’interrogazione il parlamentare eletto in Sudamerica, interpretando la volontà e il desiderio della grande collettività italiana del Brasile, chiede al Ministero degli Esteri di “disporre che la ‘Casa d’Italia’ di Juiz de Fora sia anche formalmente riconosciuta nella piena disponibilità dell’Associazione di diritto privato brasiliano San Francesco di Paola, che ne ha assicurato finora la vita e la gestione, adottando naturalmente le modalità giuridiche più adatte a raggiungere tale scopo in base alle normative esistenti in materia di trasferimento di beni immobiliari dello Stato.”