Chi ha paura del Nagorno-Karabakn?

 La miccia si è accesa

 

Giuseppe Paccione di Giuseppe Paccione

Non solo la comunità internazionale continua a lottare con un nemico invisibile, una delle peggiori crisi mondiali, quale il Covid-19, ma ora anche con una crisi che si è riacutizzata in Europa nel Caucaso meridionale, dove si è rimesso in moto un nuovo conflitto tra l’Armenia e l’Azerbaigian per contendersi la regione del Nagorno-Karabakn.  I governi di entrambi gli Stati in conflitto, in questi giorni, si stanno accusando reciprocamente per aver acceso la miccia bellica. Già in passato ci sono stati degli scontri tra i due Paesi.

Nagorno-Karabakn già all’inizio del secolo scorso

Non è possibile in questa sede tracciare gli aspetti storici della regione iniziati già all’inizio del XX secolo, ma credo che sia necessario tracciare gli avvenimenti di questi giorni, mediante l’analisi di alcuni diversificati fattori che hanno coinvolto e stanno coinvolgendo altri Stati. Per ora non l’Italia che non è proprio al cento della politica internazionale.

Crisi e sommosse

L’Azerbaigian non ha mai accettato le sconfitte per conquistare tale regione. Pertanto la sua decisione, celata dall’accusa di essere stata provocata dall’Armenia, di avviare l’offensiva per recuperare i territori perduti ha fatto scattare la molla di un ulteriore conflitto armato.

Cosa c’è dietro Nagorno-Karabakn?

La prima ragione concerne la drammatica situazione interna dello Stato azerbaigiano, provocata da una profonda crisi economica. Per evitare sommosse e proteste interne contro l’attuale governo di Baku, si è scelto di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica verso il conflitto dell’area del Nagorno-Karabakh.

Non solo, gli altri Stati  in qualche modo coinvolti in questa disputa bellica sono presi da altre problematiche. E non saranno in grado di porre un cessate il fuoco ai due contendenti. Ma anche il “Gruppo di Minsk”, istituito in seno all’Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa, appena i due Stati, sorti dalle ceneri della caduta del muro di Berlino e la caduta dell’Unione Sovietica, sono diventati membri, stenta a intervenire.

L’Europa non guarda

Il fatto è  che Francia, Russia e Stati Uniti, che costituiscono il gruppo a tre, sono impegnati in questioni interne. Non sono da meno le stesse Nazioni Unite che stanno ad osservare l’evoluzione della situazione in quella regione, senza intervenire. Solo il Segretario Generale ha espresso forte preoccupazione e l’invito a mettere da parte le armi e ad attuare l’immediato “cessate il fuoco”.

L’impasse tra Azerbaigian  e Armenia

La seconda ragione è capire sino a quando dura questa impasse tra i due Paesi in conflitto. I probabili scenari possono essere o un lampo di tempo del conflitto, come è accaduto in precedenza, o l’allargamento della guerra su larga scala. In quest’ultimo caso contano la Turchia e la Federazione russa.

Turchia dalla parte dell’Azerbaigian  nel conflitto Nagorno-Karabakn

Di certo, i contatti tra Mosca e Ankara continuano per trovare una soluzione pacifica tra le Parti in conflitto, anche il presidente turco Erdogan ha dichiarato il suo totale appoggio all’Azerbaigian, accusando l’Armenia di essere responsabile di minacciare la fragile pace nella regione del Caucaso. Nel caso in cui Ankara dovesse supportare militarmente l’Azerbaigian, si rischierebbe di allargare il conflitto.

Nagorno-Karabakn . Può entrare in gioco Mosca

Da non sottovalutare l’intervento obbligatorio di Mosca a favore dell’Armenia. Difatti, in base al trattato, denominato Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, istituita nel 2002, a cui fanno parte proprio sia la Russia, sia l’Armenia, si enuclea che un atto di aggressione esterna nei confronti di uno dei Paesi (membri) sarebbe considerato un attacco agli altri Stati parti dell’Organizzazione. Che possono portare all’adozione di contromisure comuni. In poche parole, scatterebbe la clausola di difesa collettiva.

 Pur di evitare l’allargamento del conflitto e il coinvolgimento di altri Paesi della regione, l’astuzia diplomatica di Mosca è l’appello continuo alle Parti di far tacere le armi. Non solo, ma anche di consentire all’Azerbaigian di riappropriarsi di qualche lembo territoriale, in modo da tenere saldo il filo rosso che non deve essere superato.

Attenzione a Erdogan

Non bisogna, però, tralasciare il modus operandi della Turchia che è un protagonista abbastanza imprevedibile, nel senso che se Erdogan dovesse decidere di appoggiare militarmente l’Azerbaigian, quest’ultimo potrebbe scatenarsi contro l’Armenia rischiando di finire in un conflitto che potrebbe durare mesi se non anni. La speranza è che lo scontro ancora in corso possa restare circoscritto nel tempo e che le Parti in conflitto avviino il tavolo diplomatico per una soluzione pacifica.

Nagorno-Karabakn e il diritto internazionale

In ultimo, ricodiamo il diritto internazionale proprio su una situazione simile. Mi riferisco a tre principi fondamentali del diritto applicabile alle controversie territoriali. Ai quali entrambi gli Stati coinvolti nella lotta per la riconquista della regione del Nagorno-Karabakh devono attenersi. Il primo concerne la regola dell’uti possidetis, in base al quale i confini degli Stati sono da presumersi eguali. Il secondo riguarda l’inviolabilità delle frontiere, le quali non possono essere mutate attraverso l’uso della forza militare. Il terzo afferisce al divieto di aggressione, accompagnato dall’invalidità delle acquisizioni territoriali derivanti dall’impiego dell’azione coercitiva armata. L’inibizione di aggressione è sancita da una norma imperativa del diritto internazionale generale.