Il Piemonte dei gregari protagonista per una sera al Sorì

Sul podio di tutti i wine lovers italiani e di una larga fetta di quelli mondiali c’è sempre una piazza dedicata al Piemonte. Territorio di grande generosità e capace di produrre autentici capolavori di arte enoica, a cui si rivolge la stima assoluta di tutti gli adoratori di bacco. Barolo e Barbaresco, due vini straordinari che brillano di luce propria oscurando tutto quello che c’è intorno a loro.

A farne le spese gli altri autoctoni Piemontesi vittime sacrificali di cotanto successo planetario. Un vero peccato però perché questi vitigni costretti a vivere nell’ombra, una volta liberati da vicinanze importanti, farebbero da soli il successo di tanti territori Italiani risultando protagonisti assoluti. Forse non per potenza ne per strutture esagerate, ma sicuramente per personalità, cosi differenti ed unici come sono.

Per una sera si sono trasformati in prime donne assolute nell’appuntamento a loro dedicato dall’enoteca il Sorì, una delle “tane” di Slow Food a Roma nel quartiere San Lorenzo. Un luogo di incontro con una selezione enogastronomica di livello assoluto creata da Paky Livieri, che ha affiancato Andrea Petrini in questa degustazione.

Ha aperto Ròo di Rocco di Carpeneto, piccolo produttore dell’Alto Monferrato che propone la sua versione di Cortese. Vino non banale di grande freschezza e vigore che non gli permettono di distinguersi per morbidezza, ma lo caratterizzano comunque per il gusto. Sorso pieno e ricchezza di frutto, certamente anche effetto della macerazione pre-fermentativa che svolge per tre giorni a temperatura ambiente.

Proseguendo in ordine sparso la Vespolina Ledi, Colline Novaresi Doc 2017 dell’Azienda Barbaglia, vitigno che in questa versione raggiunge una buona intensità. Naso gentile che lascia trasparire le spezie, sorso armonico in cui il tannino è appena accennato. Di Luigi e Bruna Carussin era presente il Ciuchinoì, Grignolino legato anche ad un progetto interessante ( http://carussin.it/vini-bio-piemonte/tradizione-e-innovazione/chuchinoi/ ).

Questo è forse uno dei vitigni più tipici del Piemonte e a lungo tralasciato, ma che adesso pare stia vivendo un nuovo impulso grazie ai produttori che lo stanno rilanciando. La sua lieve e caratteristica astringenza, dona al gusto una piacevole sfumatura che però sa svilupparsi diversamente in ogni produzione.

Nell’Ottavio 2017, Grignolino di Cascina Tavijn la fermentazione spontanea mette la sua firma sulla dimensione del vino, già dal colore che si presenta di un bel rubino scarico e luminoso. Fiori e spezie introducono ad un palato di grande bevibilità e acidità accattivante con lieve e gradevole presenza tannica. Vitigni che nel loro insieme rappresentano l’essenza della viticultura Piemontese, quel legame con il passato contadino più antico.

Una tradizione vitivinicola, che era già presente e viva nel momento in cui barolo e barbaresco elevarono il nebbiolo alle vette di eccellenza conosciute in tutto il mondo. Un altro di questi vitigni è certamente il Dolcetto, vino della quotidianità e della famiglia, rappresentato degnamente alla degustazione da due ottime produzioni.

Il Poderi Colla Dolcetto D’Alba Pian Balbo 2017 Doc, delicato nei profumi e anche questo dotato di una grande bevibilità grazie alla freschezza e all’equilibrio. L’altro, Dolcetto d’Alba 2015 Oddero, più intenso e gustoso di frutto, dal sorso equilibrato e di buona persistenza. Se il tema era quello dei vitigni della tradizione, la Barbera d’Alba Voerzio Alberto 2015 ha rappresentato un vitigno che non poteva assolutamente marcare l’assenza alla serata.

Naso di complessità fruttata e dove il richiamo alla mineralità si può spendere serenamente. In bocca nessun elemento è fuori posto, con freschezza ed equilibrio che ne assicurano la piena godibilità. A chiudere un altro autoctono che raramente capita di incontrare nel proprio bicchiere, il Pelaverga, qui interpretato dal Basadone di Castello di Verduno Doc 2015. Un vino della festa, allegro e giocoso nel suo frutto pieno, fragrante e arricchito dai toni delle spezie. E La festa continua anche in bocca, dove il gusto pieno e scattante, è aiutato da una grande acidità che si allunga nel finale.

La serata del Sorì si è chiusa così, come sempre interessante nei contenuti proposti e mai banali e questa volta, concentrati a rendere omaggio ad un Piemonte che esiste anche al di fuori dalle denominazioni più blasonate.