Colpevole trascuratezza per la sua memoria nel Pantheon Ingenio Claris del Cimitero monumentale.  

Un’irriconoscente spina della città natale conficcata nel travaglio esistenziale e familiare del prolifico giornalista e scrittore.

La nuova versione d’una sua lettera lasciata agli editori prima di suicidarsi: «A voi (Verona e veronesi) che vi vantate d’avermi dato i natali, mantenendo il mio sepolcro spoglio ed abbandonato, chiedo solo che per compenso dei benefici derivati dalla mia creatività abbiate debita e costante cura del mio avello. Vi saluto impugnando ancora la penna»

Servizio e foto di Claudio Beccalossi

Didascalie delle foto:

1 - Emilio Salgari, giornalista e scrittore.

2 e 3 - Fiori secchi e sporcizia sulla sua tomba.

4 - Tracce d'umidità e di muffa dietro la lapide dedicata a Salgari.

5 - La foto presente del "padre" di Sandokan.

6 - Un selfie con... Emilio Salgari.

Verona – Visto lo stato d’abbandono della sua ultima dimora nel Pantheon Ingenio Claris del Cimitero monumentale cittadino, l’interessato, lo scrittore di romanzi d’avventura Emilio Carlo Giuseppe Maria Salgari (Verona, 21 agosto 1862Torino, 25 aprile 1911), giustamente offeso da tanta negligenza, potrebbe riscrivere il testo d’una delle tre lettere (ma secondo una testimonianza del figlio Omar sarebbero state complessivamente 13), quella destinata agli editori (mentre le altre due erano per direttori di giornali e per i figli), lasciate prima del suo suicidio: «A voi che vi siete arricchiti colla mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna. Emilio Salgari». La nuova versione, adattata all’incuria in cui versa la sua tomba, sarebbe: «A voi (Verona e veronesi) che vi vantate d’avermi dato i natali, mantenendo il mio sepolcro spoglio ed abbandonato, chiedo solo che per compenso dei benefici derivati dalla mia creatività abbiate debita e costante cura del mio avello. Vi saluto impugnando ancora la penna. Emilio Salgari».

La sporcizia e la polvere, non certo recenti, in effetti, stanno deturpando la lapide (“Emilio Salgari romanziere e poeta del- l’avventura qui riposa per volontà della sua Verona”) con foto dalla cornice in legno e l’altorilievo (“Emilio Salgari A. 1862 Ω. 1911”) mentre la ruggine ha aggredito da tempo il supporto commemorativo metallico (con un ritratto più grande dell’altro, “Cap. Cav. Emilio Salgari scrittore ×1862 +1911 I figli”). L’umidità e la muffa stanno intaccando la parete dietro. I pochi fiori presenti sono rinsecchiti se non “mummificati” ed anche quelli di plastica mostrano il loro datato squallore.

Si tratta d’un amaro ed immeritato contrasto rispetto alle lastre marmoree accanto che ricordano tre illustre figure veronesi: i sindaci Aldo Fedeli (Verona, 6 giugno 1895 – Verona, 1º settembre 1955), deputato all’Assemblea Costituente ed in carica dal 31 marzo 1946 all’11 giugno 1951, Giovanni Uberti (Verona, 29 novembre 1888 – Verona, 13 marzo 1964), giornalista, deputato e senatore, a Palazzo “Barbieri” dall’11 giugno 1951 al 2 luglio 1956 e del filosofo don Giuseppe Zamboni (Verona, 1875 – Bosco Chiesanuova, Verona, 1950), già professore di Criteriologia e Gnoseologia all’Università Cattolica di Milano. Per questi egregi interpreti della storia non solo locale ci sono fiori ben più freschi e meno spelacchiati di quelli “archeologici” concessi al prolifico autore ed inventore d’una lunga serie di personaggi come il Corsaro Nero, Sandokan, Yanez de Gomera.

La copiosa produzione letteraria di Salgari (apocrifi, falsificazioni ed opportunismi editoriali a parte) include, secondo l’appassionato e documentato sito www.emiliosalgari.it (ideato e gestito da “La Perla di Labuan”), ben 88 romanzi e 144 racconti (numero ancora non definitivo), oltre a tanti articoli scritti quando era redattore delle testate scaligere “La Nuova Arena” (dal 1883 al 1885) e “L’Arena” (fino al 1893) e direttore del giornale di viaggi e di avventure “Per Terra e per Mare” (tra il 1904 ed il 1906) per conto dell’editore Donath di Genova con cui aveva un contratto. Una mole di titoli e lavori tra cui una percentuale “nascosta” dietro vari pseudonimi, soprattutto per scansare la clausola contrattuale dell’esclusiva appunto con l’editore Donath o guai di plagio quando s’ispirava ad opere di altri autori, pressato com’era dalle scadenze per gli accordi sottoscritti e da una condizione economica zoppicante e con l’assillo di debiti nonostante il suo febbrile scrivere. Nemmeno l’attribuzione da parte della Real Casa, il 3 aprile 1897, su proposta della regina Margherita di Savoia stessa, del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia servì ad alleviare le sue ristrettezze.

Emilio ebbe madre veneziana, Luigia Gradara e padre veronese, Luigi Salgari, commerciante di tessuti presso Porta Borsari. Venne battezzato il 7 settembre 1862 nella chiesa di Sant’Eufemia. La famiglia, poi, si spostò in Valpolicella, nella frazione di Negrar Tomenighe di Sotto da dove si trasferì nell’odierna “Ca’ Salgari”. Nel 1878-1879 s’iscrisse al primo corso nautico del Regio Istituto Tecnico e Nautico “Paolo Sarpi” di Venezia come straordinario senza votazioni e l’anno seguente superò l’esame d’ammissione al primo corso per capitano di lungo corso (1879-1880).

Nel 1880-1881 prese parte al secondo corso ma a settembre non si presentò per ridare gli esami di tre materie che non era riuscito a superare (Navigazione, Astronomia e Trigonometria) e, di conseguenza, lasciò gli studi. In quanto “capitano in pectore” partecipò a pochi percorsi d’addestramento a bordo d’una nave scuola e ad un viaggio di circa tre mesi (forse come semplice passeggero) sul mercantile “Italia Una” che navigò nel mar Adriatico fino al porto di Brindisi. Accantonò le sue ambizioni ritirandosi nel 1881 dal secondo corso e optò per la professione giornalistica, iniziando, più precisamente, come scrittore di romanzi d’appendice.

Un destino particolarmente brutale prese ad accanirsi contro casa Salgari. Nel 1887 morì la madre di Emilio ed il 27 novembre 1889 il padre, convinto d’essere malato incurabile, si suicidò buttandosi dalla finestra d’una casa di parenti, prima tragedia della catena autolesionista successiva. Il 30 gennaio 1892 il giornalista-scrittore sposò l’attrice di teatro Ida Peruzzi (che il marito chiamò sempre “Aida”) e, dopo la nascita della primogenita Fatima ed alla stipula d’un contratto con l’editore Speirani di Torino, la famiglia si trasferì in Piemonte, fermandosi dapprima ad Ivrea nel 1894 e, poi, a Cuorgnè e ad Alpette, nel Torinese. Ma ulteriori traslochi erano all’orizzonte: nel 1897, su pressioni dell’editore Donath, con il quale aveva preso a collaborare, Salgari e famiglia si spostarono nel quartiere di Sampierdarena, a Genova e nel 1900 misero definitivamente radici a Torino. Emilio lavorò alacremente sempre per l’editore Speirani ma senza mai riuscire a risollevarsi dai debiti accumulati e ad assicurare ai congiunti una tranquillità borghese. Così si vide quasi costretto a firmare altri contratti-capestro con due editori, nel 1896 con il genovese Donath e nel 1906 con il fiorentino Bemporad.

Nel 1903, intanto, la moglie “Aida” diede i primi segnali di disturbi mentali che costrinsero Emilio ad indebitarsi maggiormente per pagare le relative cure mediche. Ma le condizioni della donna s’aggravarono nel 1910 e l’anno dopo (poco prima del suicidio di Salgari) fu costretta al ricovero in un ospedale psichiatrico in quanto “affetta da mania furiosa con tendenza ad atti impulsivi che la rendono pericolosa a sé e agli altri”.

Pressato dal logorio delle incombenze per i contratti sottoscritti e per essere rimasto solo, con la moglie internata ed i figli da seguire, lo scrittore lavorò strenuamente fumando un centinaio di sigarette al giorno e bevendo continuamente bicchieri di marsala fino a quando lo stress e la depressione raggiunsero l’apice. Dopo un primo tentativo di suicidio nel 1909 su una spada scongiurato dalla figlia Fatima, il 25 aprile 1911 Salgari s’allontanò da casa portandosi appresso un rasoio, con il quale si squarciò la gola ed il ventre, lasciandovi le tre lettere già menzionate (in quella per i figli Fatima, Nadir, Romero ed Omar scrisse: «Miei cari figli. Sono ormai un vinto, la pazzia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie. Io spero che i milioni dei miei ammiratori che per tanti anni ho divertiti ed istruiti provvederanno a voi. Non vi lascio che 150 lire, più un credito di 600 lire che incasserete dalla signora Nusshaumer. Vi accludo qui il suo indirizzo. Fatemi seppellire per carità essendo completamente rovinato. Mantenetevi buoni ed onesti e pensate appena potrete ad aiutare vostra madre. Vi bacio tutti col cuore sanguinante, il vostro disgraziato padre. Emilio Salgari. Vado a morire nella Valle di San Martino, presso il luogo ove quando abitavamo in via Guastalla andavamo a fare colazione. Si troverà il mio cadavere in uno dei burroncelli che voi conoscete, perché andavamo a raccogliere i fiori»).

I suoi resti vennero traslati nel Cimitero monumentale di Verona nel 1912.

La sorta di maledizione che colpì i Salgari non si placò con la tragica fine di Emilio. Nel 1914 la figlia Fatima morì di tubercolosi, nel 1922 la moglie “Aida” decedette in manicomio, nel 1931 il figlio Romero (nato nel 1898) si tolse a sua volta la vita dopo aver tentato d’uccidere la moglie, il figlio Mimmo ed il cognato, nel 1936 cessò di vivere Nadir (del 1894, tenente di complemento del Regio Esercito) per le conseguenze d’un incidente in moto, nel 1963 l’ultimogenito Omar (del 1900) s’ammazzò gettandosi dal secondo piano di casa. E nel 1984 il ventiquattrenne Romero (figlio di Mimmo sopravvissuto alla disperata follia del padre Romero e del quale, in ogni caso, aveva dato il nome di battesimo al proprio rampollo) soppresse un’anziana provando poi maldestramente a farla finita.

A consolazione molto postuma, nel novembre 2011, cioè a cent’anni dalla morte, l’Istituto Navale di Genova conferì il diploma honoris causa di capitano di lungo corso ad Emilio Salgari. Le trasposizioni cinematografiche e televisive tratte dal patrimonio letterario salgariano sono almeno 42. Tra gli ossequi all’autore veronese, purtroppo largamente “a freddo”, inoltre, vanno ricordati l’asteroide 1998 UC23 “battezzato” 27094 Salgari e la dedica a lui da parte dell’Alitalia, nel 2011, dell’Airbus A320-216 (EI-DSF). Tutto ciò e ben altro mentre Verona lascia nell’irriconoscente degrado e senza periodica ripulitura il compendio alla memoria d’un originale genio inventivo dai tragici retroscena, d’un “capitano coraggioso” che ha navigato e continua a navigare, con le sue opere, di continente in continente…