Sembra che da noi questa abitudine stia attecchendo sempre di più; con particolare attenzione alla politica del Vaticano.

Infatti, così si dice con riguardo a chi, per opportunismo, non prende mai una posizione netta di fronte a due avversari e da ragione un pò all'uno e un pò all'altro.

Così, il Papa, chiede perdono ai rifugiati rohingyas e pronuncia il nome di questa derelitta e perseguitata etnia, solo una volta messo piede in Bangladesh, ma si guarda bene dal farne qualsiasi riferimento durante la recente visita nel Myanmar, durata dal 27 al 30 scorso.

Ci si aspettava, sinceramente, dalla visita del Santo Padre una svolta alla crisi politica e umanitaria che riguarda la minoranza musulmana stanziata in Birmania, di etnia Rohingya, maltrattata e costretta a riparare in Bangladesh a seguito di una vasta operazione militare dell'esercito birmano.

L'ONU ha definito la politica razziale birmana pulizia etnica e la storia, recente e non, ci ricorda i conflitti interni e il sangue innocente sparso per generazioni in nome di un conflitto religioso, di cui viene incolpata una minoranza razziale condannata all’estinzione.

I vescovi in quel Paese, piuttosto accomodanti con il regime, raccomandano al Papa di non citare, in occasione della sua visita, la minoranza musulmana nei discorsi ufficiali e, infatti, quest´ultimo, durante tutti gli incontri avuti con le autorità locali e con il Ministro degli Esteri e Consigliere diplomatico del Myanmar- premio Nobel - Aung San Suu Kyii, non ha mai fatto menzione ai musulmani «Rohingya». Si è limitato ad affermare che le «sfide» che il Myanmar ha di fronte, e tra queste quelle nel Rakhine, per «proteggere i diritti, perseguire la tolleranza, assicurare la sicurezza a tutti» richiedono «forza, pazienza e coraggio». Aung San Suu Kyi, che aveva incontrato il Papa a Roma per la prima volta in primavera, a seguito di una visita in Vaticano, ha naturalmente e pubblicamente ringraziato il Papa per le (compiacenti n.d.r.) parole profferite.

La stessa ha poi affermato: “l'incontro con il Papa, rimarca la nostra fiducia nel potere e nella possibilità di pace». includendo il Pontefice tra quei «buoni amici» il cui «sostegno allo sforzo di pacificazione» ha un valore «inestimabile».

In sostanza, Papa Francesco, con la sua politica buonista e per buonismo intendiamo l´altra faccia dell´indifferenza, non affronta i problemi gravi, non si espone più di tanto e rimane dalla parte del più forte. In altre parole, rifacendoci al detto di Galileo Galilei: “Dietro ogni problema c´è unopportunità”” sembra che col problema «rohingya» il Papa si sia accattivato l´amicizia di Aung San Suu Kyi e non solo.

Infatti, lungo il Rakhine, territorio ove risiedono i rohingya, transitano gli oleodotti cinesi e Pechino avrebbe apprezzato molto la 'moderazione' del Sommo Pontefice.

Coincidenza? Forse no, ma nello stesso giorno della visita del Papa in Myanmar, Oxford, ignorando il buonismo del Papa, ha deciso di punire la leader birmana Aung San Suu Kyi, revocandole un riconoscimento concesso 20 anni fa, con l´accusa di aver assistito, senza far nulla, alla repressione scatenata dai militari nel suo Paese contro la minoranza musulmana dei Rohingya.

Oxford reagisce, Papa Francesco nicchia?

I suoi predecessori, Papa Giovanni Paolo II e Papa Ratzinger avrebbero sicuramente agito con fermezza e determinazione, collocandosi dalla parte dei più deboli, i Rohingya in questo caso.

Corre voce, che Ratzinger abbia dovuto rinunciare a causa delle posizioni radicali assunte e sicuramente... scomode; non avrebbe sostenuto l’apertura incondizionata delle frontiere e i poteri occulti lo avrebbero messo in pensione. L´ipotesi è molto interessante!

Attenti a quei poteri occulti che puntano a una società più debole. Esistono interessi economici e politici con una volontà precisa. Sono le dichiarazioni del Cardinale Bagnasco che, nell´ intervista concessa ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, richiesto se l´Italia stesse perdendo la propria identità, rispondeva: “Certo. Cè un decadimento dellidentità culturale del nostro Paese. Ma dove va a finire il dialogo tra le culture, se si cammina verso lomologazione? Si dialoga quando qualcuno ha da apportare qualcosa di proprio. Se invece si va verso ununiformità che azzera le diverse identità, non si ha un arricchimento culturale e civile; si ha una poltiglia indistinta”.

Ebbene, se la politica nazionale, oggi, segue gli ordini di coloro che hanno interesse a che le società e le persone siano sempre più deboli, al punto da divenire facili prede di voraci interessi economici, politici ed ideologici, la politica nella Chiesa e della Chiesa non ne è esente.

Così gira il mondo!

Eppure l’argentino Jorge Mario Bergoglio, allorché eletto, aveva dato la sensazione di essere l’artefice di un nuovo corso per la Chiesa. Invece, pare che anch´egli non sfugga alla regola; non sta dalla parte dei più bisognosi e non contrastando il gioco dei poteri occulti, contribuisce con la sua politica a rendere le società sempre più deboli. Peccato, ma se ogni popolo ha il governo che si merita, ciò vale anche per la Chiesa.

Ci viene in mente, date le circostanze, il verso dantesco: “Pape Satan, pape Satan aleppe” che tra le centinaia di interpretazioni dategli, ci sembra che quella pubblicata sul periodico bimestrale Il Propugnatore - 1888 diretto da Giosué Carducci, sia la più consona e appropriata all’attuale capo della nostra Chiesa. Infatti, sulla circonferenza basilare interna della cupola di S. Pietro, il visitatore viene accolto dagli enormi caratteri: “PORTAE INFERI NON PRAEVALEBUNT ADVERSUS EAM”.

Ora, le parole della esclamazione Pape Satan, pape Satan aleppe, pronunciate da Pluto nel quarto cerchio infernale, sono le parole ebraiche:”Bab e-sciatan, Bab e-sciatan alep; cioè: La porta dell’inferno, la porta dell’Inferno prevalse”. Per concludere, che Papa Bergoglio, voglia di proposito cancellare l’avverbio “NON” dalla secolare scritta ammonitrice, ci sembra voler forzare un´analisi, che non alberga nella nostra etica, ma che la politica vaticana di “Un colpo al cerchio e uno alla botte” possa condurre alle conseguenze citate e alla disaffezione alla Chiesa, così come oggi presieduta, questo sì.

G & G Arnò