È certamente sul podio dei più grandi vitigni italiani a bacca bianca. Probabilmente di provenienza greca, menzionato come in antichi scritti come Vitis Apicia. Appellativo che sembrerebbe dovuto alla sua capacità di attrarre gli sciami di api grazie alle doti di particolare dolcezza. Il nome mutando nella storia prima in Apiana, Afiano giunge ai tempi nostri come l’odierno Fiano. Lo sviluppo economico dell’Irpinia è legato a questo vino e ad esso è dovuta la spinta per grandi opere. Come la costruzione della ferrovia datata 1800, incoraggiata dall’espansione della viticultura, arrivata a toccare all’epoca cento milioni di litri prodotti. Risultati dovuti anche grazie al lavoro di Michele Carlucci, presso la Regia Scuola di Enologia e Viticultura di Avellino. Segue un secolo di alterne vicende, con la produzione abbattuta ai livelli minimi. La rinascita avviene intorno agli anni ‘70 che vedono invertire la tendenza e aumentare di nuovo la superficie vitata. La DOCG del 2003 segna l’inizio di un percorso che porterà il Fiano di Avellino agli elevati standard qualitativi attuali. Assieme ai suoi fratelli campani come il Greco di Tufo e soprattutto la Falanghina, verso la fine degli anni ’80 conosce in qualche modo la notorietà complici anche i fasti della cosiddetta Prima Repubblica. Nel mondo degli affari pubblici è la stagione delle feste e delle interminabili campagne elettorali. Una politica veicolata tra cene, banchetti e feste offerte agli elettori, dove il vino non può certamente mancare. Il caso vuole che in questa fase istituzionale alcune delle cariche pubbliche più influenti siano Campane, addirittura Irpine e che i vini di queste zone vengano proposti con più frequenza. Anche il Fiano di Avellino beneficia di questa improvvisa visibilità. Sono diversi i produttori che cavalcano questa opportunità decisi a perseguire la qualità a discapito dei grandi numeri. Obiettivo ampiamente raggiunto, riscontrabile nelle dissertazioni tra enofili, che lo inseriscono in pianta stabile nel terzetto dei migliori bianchi Italiani. Prodotto esclusivamente nella provincia di Avellino da uve Fiano minimo 85% a cui possono aggiungersi Greco, Coda di Volpe o Trebbiano per un massimo del 15%. La scelta dei contenitori di affinamento è lasciato interamente alla Cantina mentre l’eventuale utilizzo del legno va dosato con cautela. Tra i produttori Mastroberardino, Ciro Picariello, Marsella, Villa Diamante, Pietracupa, Colli di Lapio, Tenuta Sarno, Rocca del Principe, Cantina del Barone meritano una menzione obbligatoria. Mai però come in questo caso fare una lista risulta estremamente limitativo. Oggi infatti i grandi Fiano di Avellino sono molti, ed un giro di ricognizione sul territorio regala sicure soddisfazioni a tutti gli appassionati. Vini che si caratterizzano per la finezza del bouquet olfattivo, in cui le differenti bottiglie superando le esuberanze del passato evidenziano tutte il proprio carattere. La frutta è presenza quasi certa e declinata in ogni varietà, dalla fresca estiva a quella tropicale, agli agrumi. I sentori di fiori freschi sono spesso accompagnati da richiami di erbe aromatiche, nocciola e frutta secca in genere. Versatile negli abbinamenti a tutto pasto. Si trova perfettamente con gli antipasti di pesce, dai crostacei ai frutti di mare anche crudi, il polpo in insalata. Con i primi ai sughi di pesce o di verdure, il pesce alla griglia e arrosto anche salsato e aromatizzato. Bene anche sui ragù bianchi, di coniglio o vitella, sul pollame, le insalate complesse. Localmente è molto apprezzato in abbinamento con i formaggi tipo provola, caciocavallo, scamorza, la ricotta laticauda, i burrini, ma soprattutto con la mozzarella di bufala. In cucina molti chef li accostano ai loro piatti, Paolo Gramaglia invece lo ha utilizzato per il cenone di capodanno nella sua “Astice ubriacata al Fiano di Avellino” dove il nobile crostaceo incontra la finezza dei profumi del vino.