Le realtà del vitigno più coltivato d’Italia riunite da Sangiovese Purosangue nella manifestazione che presenta le sue diverse espressioni territoriali
Anche quest’anno Sangiovese Purosangue non si smentisce. Come sempre mette insieme i produttori che di questo vitigno hanno fatto la loro vita, rendendo giustizia anche a chi per ovvie ragioni rimane un po’ più nell’ombra. Per la maggior parte delle persone Sangiovese fa rima con Toscana e come biasimarli. Per tutti quelli che non hanno fatto del vino il proprio interesse primario sembra un’affermazione abbastanza logica. Era il vino della Firenze dei medici ed il suo commercio era regolato dalla corporazione dei Vinattieri venduto nei “toscanelli”. Nome dei sigari di oggi ma allora riferito a fiaschi di due litri dal collo allungato e rivestiti di paglia. Vino e vitigno quindi fortemente radicati nella nostra cultura. Così tanto da aumentare la sua presenza sul territorio diventando la tipologia di vite più diffusa sul territorio nazionale. Rispetto alle degustazioni monotematiche focalizzate su una sola Doc la peculiarità di Sangiovese Purosangue è quello di pescare nei territori di produzione del Sangiovese proponendo una selezione delle sue diverse realtà. Certamente è la Toscana a fare la voce grossa, ma anche in Romagna la tradizione del Sangiovese è ben radicata. Poi qualche altra referenza tra Umbria e Lazio ma il riferimento da considerare non è certo quello regionale. Molteplici i territori di produzione per altrettante espressioni diverse. Il valore dell’evento realizzato dell’EnoClub Siena sta proprio qui. Mettere insieme le diverse anime del Sangiovese, componendo un mosaico di quello che il vitigno può dare. Le diverse sfumature di propria eleganza che ogni territorio imprime univocamente ai suoi vini. Le presenze ai banchi d’assaggio e per i seminari dedicati, certificano la riuscita dell’evento nel miglior modo possibile. Il pubblico era in fila per accedere alle sale del Radisson Hotel anche negli orari solitamente meno frequentati per una degustazione. Ad accogliere gli ospiti all’inizio della sala un banco collettivo con una prima parte dedicata alla zona di Montalcino. A rappresentarla degnamente tra gli altri i Brunello di Terre Nere, Il Marroneto e Fattoria dei Barbi più altri ottimi Rossi della Doc Montalcino. A fianco la batteria del Chianti Classico con la riserva di Castello di Radda, il Gran Selezione di Colle Bereto, Villa Calcinaia, Felsina ed altri ancora. Superata questa sorta di barriera d’ingresso erano molti i produttori pronti ad accogliere gli appassionati. Ognuno disponibile a spiegare metodi e modalità del proprio lavoro. Tantissime le aziende di livello assoluto, impossibile assaggiarle tutte. Altrettanto impossibile tralasciarne alcune come il gruppo delle “Le”. Le Chiuse, Le Macioche, Le Potazzine, Le Ragnaie che insieme a Tiezzi riescono a dare un’idea della grande qualità dei vini di tutta la zona di Montalcino. Poi ancora Chianti Classico con l’Azienda Monterotondo di Gaiole Alta e il suo proprietario da cui raccogliere anche interessanti pareri sulle politiche del consorzio, oppure con l’Azienda I Fabbri etichetta storica e che la proprietaria ci mostra in edizione originale del 1920. In Romagna i vini sembrano essere d’approccio più robusto ma senza rinunciare all’eleganza, come in quelli dell’Azienda Mutiliana dalla zona di Modigliana o quelli di Ca’ di Sopra di Marzeno. Sensazioni che si rafforzano nel Lazio con il Sangiovese di Tre Cancelli, che nel “Siborio” raccorda l’influsso del mare con quello del territorio vulcanico. Anche con questo produttore c’è modo di parlare delle politiche di riorganizzazione delle Doc e capire che il Lazio è ancora vivo e mostra tutta la sua voglia di recuperare il tempo perduto. Prima di congedarsi vale la pena far visita allo “special guest”, ormai quasi un habitué di Sangiovese Purosangue. l’Azienda Maccario Dringenberg con il suo splendido Rossese di Dolceacqua. Vitigno e territorio di cui si parla sempre troppo poco, ma questa è un’altra storia. Eventi come questo sono l’ideale per tutti. Dal neofita in su, invogliano ad approfondire e non cercano di costruire una barriera sociale in cui isolarsi “rendendo il vino seducente”. Ne hanno come unico scopo quello di vendere qualcosa fine a se stesso ma anzi servono a coltivare nel tempo la passione. Attività che a Roma ci si aspetterebbe essere svolta da altri.

Bruno Fulco