Gunter Demnig

 

LA PROPOSTA DELLE “PIETRE D’INCIAMPO” INCESPICA

DAVANTI AL SILENZIO ISTITUZIONALE DI VERONA

 

Nonostante il cercato coinvolgimento del Comune e della Comunità ebraica scaligeri –

Un’idea forse politicamente “scomoda” o minata dal disinteresse ma che certo

non rimarrà chiusa nel cassetto

 

Servizi di Claudio Beccalossi

 

 

Pietra d'inciampo Bolzano 

 

Il monumento datato 27 gennaio 2004 - 4 shevath 5764 del calendario ebraico - all'interno del Cimitero di via Badile, a Verona

 

 

Verona – Si tratta d’un mio progetto-proposta che ballonzola da più d’un anno e mezzo tra scrivania e cassetti, sopra e sotto altra documentazione, tirato in ballo di tanto in tanto per farne qualcosa di concreto dopo il “muro di gomma” constatato in chi avrebbe dovuto accettarlo od almeno discuterlo, se non proprio ad occhi chiusi o per atto dovuto, secondo rispetto storico, attuandolo per banali rievocazione e giustizia. E per custodia della memoria e monito al nunca más (“mai più”, dal titolo del rapporto della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (CONADEP), Commissione Nazionale sulla Sparizione delle Persone argentina del settembre 1984, detta anche Comisión Sabato dal cognome del suo presidente, Ernesto Sabato.

Si tratta dell’iniziativa della collocazione anche a Verona (e magari pure in località di provincia) di “pietre d’inciampo”, in tedesco Stolpersteine, nel selciato (marciapiede o strada) possibilmente negli immediati paraggi delle abitazioni o dei luoghi dove vennero arrestati, prelevati, tenuti prigionieri e poi deportati nei Lager nazisti per essere sterminati, cittadini di qualsiasi etnia e religione.

La “pietra d’inciampo” consiste in una targa d’ottone apposta sulla facciata superiore d’un blocchetto in pietra dalle dimensioni d’un sampietrino (cm 10 x cm 10 x cm 10), semplice ma efficace nel suo incidere il ricordo d’una tragedia umana individuale inanellata ad un’immane destino comune con altre che assunse contorni di sterminio, di genocidio.

La lamina d’ottone riporta il nominativo della persona finita nelle grinfie hitleriane, le date di nascita, d’arresto e deportazione e, se noti, il luogo di prigionia ed il momento dell’assassinio, spesso molto approssimativo. La riaffermazione dell’identità individuale a dispetto di chi, criminale, voleva che il fatto prigioniero fosse numero da far sparire annientandolo prima e cancellandolo poi, è un altro degli obiettivi palesi, tutti ispirati all’espressione “pietra d’inciampo” contenuta nell’Epistola ai Romani di Paolo di Tarso: “Ecco, io metto in Sion un sasso d’inciampo e una pietra di scandalo; ma chi crede in lui non sarà deluso”.

Il termine “inciampo”, quindi, non va inteso come “ostacolo”, “intoppo”, “incidente” ma quale una secca (od inattesa) causa, visiva e riflessiva, che costringe a fermarsi, a leggere, a constatare, a conoscere, a pensarci sopra anche solo per qualche attimo di bradicardia dal ritmo tachicardico quotidiano. La funzionalità dei manufatti sta proprio nell’attirare e nel non inciamparvi (del resto impossibile, dato che sono scrupolosamente inserite nel piano stradale o di passaggio pedonale). O nell’inciampo-inciampare (interpretato come incappare, imbattersi, magari inavvertitamente) in un’informazione-omaggio a terra, messaggi tipo quelli terrestri lasciati sulla Luna (veri, presunti o falsi che possano essere, complottisti a parte) da astronauti delle varie missioni o da naufraghi dentro bottiglie in mare.

L’iniziativa di promozione urbana si deve all’originale e sensibile artista tedesco Gunter Demnig (Berlin/Berlino, Deutschland/Germania, 27 ottobre 1947) che, durante la sua permanenza nel 1992 a Köln/Colonia per realizzarvi un “promemoria” sulla deportazione di rom e sinti, dovette sorbirsi le esternazioni di un’anziana convinta dell’impossibile presenza in città, all’epoca, delle due etnie. Quale reazione spontanea a quel rozzo negazionismo, Demnig ideò il particolare “cubo post-it”, dando, nel contempo, una svolta alla sua carriera dedicandosi anema e core a ridar vita, seppur in poche parole su una lamina d’ottone, a quanti vennero travolti dalla lucida follia delle persecuzioni razziali naziste. Vittime due volte, della ferocia dell’uomo e dell’indegna dimenticanza…

  1. prima “pietra d’inciampo” venne incorporata proprio a Köln/Colonia, in reminiscenza del migliaio di sinti e rom deportati dai nazisti nel maggio 1940 ed in schiaffo morale al revisionismo monocorde, più strumentalmente antitetico che altro.

Da allora e con aggiornamento all’inizio del 2019, circa 71mila “sampietrini della memoria” sono stati installati in 24 Paesi europei (Germania, Austria, Paesi Bassi, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Belgio, Ucraina, Italia, Norvegia, Slovacchia, Slovenia, Francia, Croazia, Lussemburgo, Russia, Svizzera, Romania, Grecia, Spagna, Lituania, Lettonia, Finlandia e Moldavia). Hanno “declinato l’invito” (per ora), invece, Danimarca, Estonia, Bielorussia, Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia.

Sul sito www.stolpersteine.eu (in tedesco ed in inglese) il collegamento ipertestuale Chronik/Timetable aggiorna di continuo su date e località di prossimi impianti. Per informazioni generali riguardanti il “soggetto Stolpersteine”, è possibile contattare Katja e Gunter Demnig, An der Leit 15, D-36304 Alsfeld-Elbenrod, cellulare: +49 177 2061858, e-mail: info(at)stolpersteine.eu.

In Italia le prime particolari “pietre” sono state piazzate a Roma nel gennaio 2010, diffondendosi in seguito nelle regioni su cui ha più infierito la prevaricazione prima dell’annientamento. In Veneto (stando a dati di gennaio/febbraio 2019) sono state ubicate 115 Stolpersteine (2 a Bovolenta, Padova; 25 a Padova; 6 a Costa di Rovigo; 1 a Chioggia, Venezia; 2 a Mirano, Venezia; 79 a Venezia).

Il Veronese, invece, è ancora senza questi “mini-monumenti”, nonostante i casi storicamente accertati. Nel Cimitero ebraico di via Antonio Badile 89, ad esempio, sorge un monumento “in memoria degli ebrei deportati da Verona e vittime della barbarie nazifascista”. Elenca 63 nominativi di appartenenti alla Comunità ebraica locale e di forestieri rastrellati in città e provincia e poi avviati verso i campi di sterminio nazisti, famigerato KL (Konzentrationslager) Auschwitz compreso.

La constatata mancanza di “pietre d’inciampo” nel territorio scaligero m’ha fatto pensare ad un passo del Talmud (in ebraico talmūd, cioè “insegnamento, studio, discussione”), uno dei testi sacri dell’Ebraismo: “Una persona viene dimenticata solo quando viene dimenticato il suo nome”. Per riparare a quest’“assenza”, m’ero mosso affinché si rimediasse a livello istituzionale. Ne ho parlato personalmente il 26 febbraio 2019 con Marco Padovani (assessore del Comune di Verona a Strade e Giardini, Decentramento, Servizi tecnici circoscrizionali) senza alcun riscontro positivo. Ho provato a coinvolgere il rabbino di Verona, Yosef Yitzhak Labi, tramite una mia e-mail inviata il 15 maggio 2019, rimasta priva di qualsiasi risposta. Dopo questi buchi nell’acqua, a dispetto del fatto che sia già concreto in 24 nazioni europee compresa l’Italia, ho dedotto che, probabilmente, il piano è “scomodo”, va contro, urta i nervi al politically correct in auge a Palazzo Barbieri (sede del Comune di Verona). Mentre, per quanto riguarda il silenzio da parte del rabbino, lo addebito a semplice disinteresse con qualche punta di maleducazione (perché una minima replica sarebbe stata, anzi è, doverosa).

Tuttavia, non demordo e, se è vero che tutte le strade portano a Roma, per il mio obiettivo individuerò altri (pubblici e/o privati) non vincolati a pseudo ragioni “politiche” e più sensibili alla rimembranza duratura di arresti e deportazioni sottocasa. Perché pure il contesto veronese abbia le sue “pietre d’inciampo”, elevate a pietre miliari del vissuto mozzato…

 

“SEGNALIBRI DELLA MEMORIA”

IN TRENTINO-ALTO ADIGE/SÜDTIROL:

15 A BOLZANO/BOZEN E 33 A MERANO/MERAN

 

Bolzano/Bozen – Una “pietra d’inciampo” è stata collocata nel passaggio Antico Municipio/Am Alten Rathaus, in via dei Portici/Laubengasse 30. Ricorda l’ultimo domicilio di Ada Tedesco, figlia di Moisè Tedesco e di Enrichetta Leoni, nata a Verona (e dove il 1° marzo 1939 fu obbligata a sottoscrivere la “dichiarazione di appartenenza alla razza ebraica”) il 21 settembre 1881, trasferitasi a Bolzano/Bozen nel 1941. Arrestata in quanto ebrea il 16 settembre 1943 (stando a “Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia. 1943-1945” di Liliana Picciotto, ricerca della Fondazione Centro di Docu-mentazione Ebraica Contemporanea, edizione 2002; “Altri nomi ritrovati”, Mursia Editore, Milano, pp. 77-80) od il 23 settembre 1943 (secondo la placca in ottone), il suo nome figura (come sostiene il sito su Internet del CDEC – Centro di Documentazione Ebraica – Digital Library, http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-7800/tedesco-ada.html) nella lista dei 29 ammassati nel treno n. 01 relativo al posto di raccolta e di detenzione della Casa del Balilla di Merano/Meran. Convoglio partito appunto dalla cittadina sul torrente Passirio il 16 settembre 1943 (stessa data dell’arresto?) e diretto, superando i passi di Monte Giovo e di Brennero, a Reichenau (quartiere di Innsbruck, nell’Austria dell’anschluss), sede dal 1941 al 1945 d’un Arbeitserziehungslager (Campo d’educazione al lavoro) gestito dalla Gestapo (Geheime Staatspolizei, Polizia segreta di Stato) nazista, luogo di transito di tanti deportati anche italiani. Reichenau fu una parentesi provvisoria per Ada Tedesco e gli altri, prima d’essere avviati verso la “soluzione finale” nel KL Auschwitz.

Alcune ricostruzioni giornalistiche sul caso specifico sono confuse: “…arrestata in via Portici perché ebrea, incarcerata prima a Bolzano e poi a Bressanone. E infine consegnata alla Gestapo di Innsbruck. E da Innsbruck raggiunse poi su un vagone piombato il Lager di Reichenau” (https://www. altoadige.it/cronaca/bolzano/la-storia-di-ada-catturata-sotto-i-portici-1.1503309). Va rilevato ancora che Reichenau è un quartiere di Innsbruck dove non serviva certo un “vagone piombato” per trasportare prigionieri… nel medesimo posto. Il pdf https://www.comune.bolzano.it/UploadDocs/205 84_Bol-zano_Percorso_tra_le_pietre_di_inciampo (che dovrebbe essere preciso ed ufficiale) snocciola a sua volta, sempre riguardo ad Ada Tedesco: “…il 23 settembre 1943 fu arrestata e trattenuta in carcere a Bolzano. Il 25 giugno dell’anno successivo fu trasferita nel carcere di Bressanone, il 29 agosto consegnata alla Gestapo di Innsbruck e deportata nel locale campo di rieducazione al lavoro di Reichenau e poi forse nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Venne uccisa nel gennaio 1945”. Versioni “alla carlona”, da rivedere, correggere ed uniformare…