TRA REVIVAL, ATTUALITÀ E PROSPETTIVE

 

UNA MATTINATA CON IL DIPLOMATICO DIEGO BRASIOLI

 

10 giugno 2019: cronaca del rendez-vous al ministero degli Affari esteri e della Cooperazione

internazionale con l’amico d’infanzia e figlio di veronesi, Principal Director of Security

e (tra molto altro) ex console generale a Los Angeles (California, Usa/Stati Uniti d’America)

dal 2003 al 2007 ed ex ambasciatore a București/Bucarest (România/Romania)

dal 2013 al 2017 – Un lungo dialogo riepilogativo, l’“escursione” all’interno della Farnesina

con lui come “Cicerone” e l’arrivederci con velleità costruttive – Dal 15 giugno 2020

Brasioli è ambasciatore d’Italia in Lussemburgo

 

Servizio di Claudio Beccalossi

Brasioli e Beccalossi (a destra)

 

Roma – Nei pressi di piazza del Popolo, esco dalla metro su cui sono salito a Termini. Poi, uso l’autobus e scendo vicino a ponte Milvio (o ponte Molle o Mollo) che, superando il fiume Tevere, collega piazzale Cardinale Consalvi, nel quartiere Parioli, all’altro piazzale di ponte Milvio, nel quartiere Tor di Quinto. Fa decisamente caldo ed il sudore inizia a colarmi addosso, facendo a botte col mio abbigliamento (giacca e cravatta) come da copione per un meeting importante…

Cammino sullo storico ponte ad arco di mattoni e pietra, lungo 136 m e largo 8, sorto tra il 110 ed il 109 a. C. Mi fermo ad osservare con più calma il suggestivo attraversamento che, per i romani antichi, costituiva una sorta di tragitto obbligato verso il nord percorrendo vie consolari come la Cassia (che portava inizialmente a Florentia, l’attuale Firenze e che poi venne prolungata fino a congiungersi con la via Aurelia) e la Flaminia (che collegava ad Ariminum, oggi Rimini ed al mar Adriatico). Nella parlata popolare venne denominato ponte Mollo perché, nel corso delle piene del Tevere, era puntualmente sommerso dall’acqua, finendo, appunto e letteralmente, “a mollo”. Nel 1849 Giuseppe (Maria) Garibaldi lo fece saltare in aria per intralciare l’offensiva delle truppe francesi e nel 1850 Papa Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, Senigallia, Ancona, 13 maggio 1792 – Roma, 7 febbraio 1878) provvide a farlo restaurare. Dopo l’apertura nel 1951 del ponte Flaminio, poco distante, la circolazione sul ponte Milvio trovò un graduale calo, fino alla completa eliminazione del traffico, nel 1978.

Lasciato passato e presente del ponte alle spalle, m’incammino per lungotevere Maresciallo Diaz e raggiungo il limitare di piazzale della Farnesina, ampio e sobrio, dove, sotto un sole sferzante che pare cuocerlo a puntino, campeggia il maestoso palazzo della Farnesina (noto ai più anche solo come “la Farnesina”), sede del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. È lì che, alle ore 10:30, devo incontrarmi con Diego Brasioli (Roma, 23 novembre 1961), l’illustre amico d’infanzia ritrovato, il diplomatico dall’incisiva carriera avviata nel 1986, figlio di genitori d’origine veronese. Si tratta d’un appuntamento auspicato e rimandato almeno dall’aprile 2015 e dai miei primi articoli su di lui pubblicati dopo averlo “ripescato” dai ricordi e dai media, sulla scia della sua biografia ufficiale e delle sue gravose responsabilità connesse agli ultimi, prestigiosi incarichi (prima d’essere ambasciatore d’Italia in Lussemburgo dal 15 giugno 2020) quale direttore centrale per la sicurezza, il disarmo e la non proliferazione, vicario del direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, membro supplente del Csf (Comitato sicurezza finanziario) istituito presso il ministero dell’Economia e delle Finanze e focal point per l’Italia nel Meccanismo di Risposta Rapida del G7 alle minacce esterne alla democrazia. Chapeau

Prima di varcare la soglia della Farnesina, nella zona del Foro Italico, ne osservo la severa struttura esterna. Farnesina, in quanto edificio sorto su una superficie possedimento di Papa Paolo III (nato Alessandro Farnese, Canino, Viterbo, 29 febbraio 1468 – Roma, 10 novembre 1549) che, nel 1540, autorizzò la fondazione della Compagnia di Gesù su iniziativa di Ignazio di Loyola e che, nel 1545, convocò il Concilio di Trento. A causa del nome altisonante del proprietario, l’area era conosciuta come “la Farnesina”, anche per non confonderla con i cosiddetti “Orti Farnesiani”, sul colle Palatino o con Villa Farnesina, in via della Lungara (da via di Porta Settimiana a piazza della Rovere, nel rione di Trastevere).

L’erezione dell’imponente edificio iniziò nel 1937 ad opera degli architetti Enrico Del Debbio, Vittorio Ballio Morpurgo ed Arnaldo Foschini i quali obbedirono ad alte volontà, non condivise da loro, di collocare la neo costruzione all’estremità nord del Foro Mussolini (oggi Foro Italico). La prima destinazione d’uso del complesso sarebbe stata di sede in pompa magna del Partito nazionale fascista come nuovo Palazzo del Littorio ma nel 1940 umori e momenti diversi mutarono l’utilizzo in ministero degli Affari esteri, ubicato fino al 1922 nel Palazzo della Consulta e, poi, a Palazzo Chigi. Il progetto prevedeva uno sviluppo strutturale dai 169 metri di lunghezza, 51 d’altezza e 132 di profondità, con un’ampia corte centrale e due minori laterali, per una superficie pari a 120mila m², un volume complessivo di 720mila m³ e 6,5 chilometri di corridoi. L’opera, sospesa per gli eventi bellici nell’estate del 1943, riprese nel 1956 con gli stessi progettisti che ne seguirono l’adattamento finale per presentarsi, nel 1959, all’insediamento ufficiale del ministero degli Affari esteri che, in precedenza, era attivo in ben 13 sedi staccate.

Il palazzo della Farnesina presenta caratteri architettonici del Monumentalismo o Neoclassicismo semplificato. Conta più di 1.300 stanze (occupate da circa 7mila persone) e 9 piani, con 20 sale riunioni, 7 sale d’esposizione d’arte ed una sala per conferenze internazionali. Tanta abbondanza di spazi di tipo monumentale, di rigore statale e di documentazione internazionale ha consentito, se non imposto, la realizzazione di archivi e raccolte in continuo incremento. Come l’Archivio storico diplomatico dove viene conservata ed inventariata la produzione diplomatica emessa dagli uffici centrali del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e dalle ambasciate e dai consolati all’estero. Nell’archivio sono pure custoditi gli originali degli atti internazionali.

 

 

Anche l’arte vuole la sua… parte alla Farnesina. Infatti, la Direzione generale per la promozione e la cooperazione culturale del ministero degli Affari esteri, nel 1999, decise d’esporre nelle rigorose sale del palazzo varie opere testimoni dell’arte italiana del XX secolo, la “Collezione Farnesina” (dipinti, sculture, installazioni, mosaici). Un affascinante “viaggio nel Novecento” con tappe nell’Art Nouveau, nel Futurismo, nella Metafisica, nell’Astrattismo, nell’Arte Povera, nella Transavanguardia, nella Nuova Scuola Romana.

Con l’inaugurazione del 5 luglio 2008 nell’ambito di Farnesina Porte Aperte, la raccolta fu arricchita dalla Collezione Farnesina Experimenta che accoglie creazioni di giovani artisti italiani. Ed il 13 marzo 2009, inoltre, venne pubblicizzata la messa a punto d’un terzo assortimento, la Collezione Farnesina Design. Iniziative di pregio in crescita costante che vanno in sintonia con l’opera diventata quasi il simbolo del ministero, quella “Sfera Grande” che campeggia su un piedistallo marmoreo, in un angolo dell’ampio piazzale esterno, capolavoro di Arnaldo Pomodoro (Morciano di Romagna, Rimini, 23 giugno 1926, scultore ed orafo). Realizzata per l’Expo di Montréal (Canada) del 1967, trovò la sua degna collocazione a tu per tu col contesto istituzionale ed internazionale della Farnesina.

La premessa al mio rendez-vous con Brasioli è il “colosso” architettonico del ministero visto da… vicino, per il momento dall’esterno. Entro nella réception a pianoterra e mi presento all’addetto il quale provvede subito a telefonare ai… piani alti per avvisare del mio arrivo. Lascio il mio documento d’identità, ritiro il pass e mi siedo in attesa in uno degli invitanti divani della “sala Vip” dell’ingresso principale, detergendomi l’abbondante sudore che m’inonda per il tragitto percorso a piedi sotto un solleone particolarmente… feroce.

Non passa molto tempo e vedo sbucare dalla porta d’accesso al dedalo interno di uffici, corridoi e piani l’elegante ed abbronzata figura di Diego che indossa un leggero completo grigio con fazzoletto bianco al taschino. Lo riconosco perché, non confidando certo con la memoria diretta ed “aggiornata” (dato che i miei ultimi ricordi di lui risalgono a decenni addietro) m’ero già “documentato” visivamente navigando in Internet e reperendovi una marea di sue foto ufficiali. Scruta tra i presenti e s’accorge di me, che mi sono alzato e mi sto dirigendo verso di lui. Pare riconoscermi (chissà, forse anche lui avrà fatto su di me una “ricerca fotografica” in rete…), mi sorride, ci stringiamo la mano e ci abbracciamo. Come vecchi amici recuperati dopo tanto tempo. M’invita a bere un caffè… rompighiaccio nell’affollato bar ministeriale. Da lì, poi, m’accompagna nel suo ampio ufficio non prima d’avermi presentato la sua segretaria, nella stanza comunicante. Chiusa la porta m’invita a togliermi, come lui, la giacca per stare più a proprio agio e ci accomodiamo in due poltrone del salottino di fronte alla sua scrivania.

La conversazione verte subito sulle nostre rispettive famiglie e, soprattutto, su suo padre Alfredo, nato a Bovolone (Verona) il 9 maggio 1935, trapiantato per carriera a Roma e qui scomparso il 22 novembre 2016. Era un apprezzato e noto artista, illustratore, pittore, fumettista e grafico. Mi dice che riposa nel cimitero Flaminio (o cimitero di Prima Porta) che, con i suoi 140 ettari d’estensione ed i suoi 37 km di strade interne, è il camposanto più vasto d’Italia, dove circolano anche autoveicoli ed autobus. Parliamo dei nostri figli, io d’Alessandro (che avrebbe bisogno di suoi consigli per eventuali aspirazioni studentesche con velleità diplomatiche a… lungo termine) e lui della sua, più o meno della stessa età, che vive con la madre a Beirut, in Libano (Diego, dal 1999 al 2003, ha operato come consigliere politico e vice capo missione presso l’Ambasciata d’Italia nella capitale libanese) e che, quando la sente, ha sempre orientamenti diversi ed è indecisa sul da farsi nei confronti di presente e futuro.

Manifesta subito la sua disponibilità a dar qualche dritta ad Alessandro e, quindi, il discorso tocca i libri da lui scritti (“La questione di Gerusalemme: aspetti religiosi e politici”, Roma, Istituto Diplomatico, 1998, “Il caffè di Tamer”, Milano, Mursia, 2002, “Le stelle di Babilonia”, Milano, Mursia, 2007) che minimizza e, anzi, si defila dal proseguirne parola. Rimarco che, nel corso di miei viaggi-reportage, ho avvicinato vari ambasciatori e consoli italiani di cui alcuni autori di libri e ricerche storiche riguardanti aspetti dei Paesi ospitanti o delle competenze territoriali di missione. Come Francesco d’Orazi Flavoni, console generale d’Italia a Bombay (oggi Mumbai) e, oltre che diplomatico, pure saggista e fotografo, che io incontrai ed intervistai, il 15 gennaio 1988, nella sede consolare in Kanchanjunga Building, 72 G. Deshmukh Marg. Informo Brasioli, da lui conosciuto in quanto collega, della scomparsa di d’Orazi Flavoni avvenuta il 3 agosto 2000 e mi replica d’esserne finora all’oscuro.

La conversazione scivola su vari temi, compresi quelli dell’attualità internazionale e d’altri connessi al suo ruolo quale ambasciatore d’Italia a București/Bucarest dal 2013 al 2017. Dopo avergli riferito che, nel 2013, ho avuto l’opportunità di conoscere ed intervistare l’ambasciatore d’Italia a Chișinău (Repubblica di Moldavia), Enrico Nunziata (da gennaio del 2019 ambasciatore a Dhaka, in Bangladesh), in occasione d’un mio ennesimo viaggio-reportage, Diego confessa il suo rammarico per non aver potuto, durante il suo incarico a București/Bucarest, visitare la Transnistria (ufficialmente, Repubblica Moldava di Pridniestrov o Pridnestrovie o Pridniestrovie, Republica Moldovenească Nistrea-nă/Pridnestrovkaja Moldavskaja Respublika, territorio sotto tutela russa rivendicato dalla Repubblica di Moldavia e Stato indipendente de facto non riconosciuto dai Paesi membri dell’ONUe con “amici” Abcasia e Ossezia del Sud, a loro volta pretese dalla Georgia – perché ritenuto de iure soggetto a Chișinău) e la capitale, Tiraspol. La sua posizione di rappresentante diplomatico non andava e non va certo a braccetto con il delicato status quo della Transnistria.

Dopo il dialogo, foriero di interessanti prosiegui e sviluppi perché l’occasione non resti… figlia unica, sono di prammatica le foto, insieme e singole. Quelle insieme scattate alla buona dalla segretaria, signora Lo Magro, chiamata in causa e le singole da me con Diego in posa… navigata. E, prima di lasciare l’ufficio per un breve tour ad personam nei meandri della Farnesina con lui nel ruolo di “Cicerone”, m’indica, appesi alla parete, “cimeli” della “sua” Roma (della quale è stato nominato “Cavaliere” assieme ad una sfilza di big), squadra calcistica del cuore, in risposta pressoché scontata alla mia sprovveduta domanda su suoi eventuali interessi da tifoso per l’Hellas Verona (o, in alternativa, ChievoVerona) per nostalgie d’origine familiare. Niente di tutto questo: Brasioli è dalla nascita un “romano de Roma”, con un attaccamento viscerale al proprio esserlo, accentuato dalla giusta consapevolezza, maturata sul campo, di rappresentare uno spaccato della capitale e dello Stato in relazioni e sfere internazionali.

C’incamminiamo per corridoi deserti, suppongo insolitamente. Percorriamo il ventre ministeriale dove l’architettura stessa emana ufficialità, respira la propria austera grandeur a pieni polmoni. Entriamo nella vasta “Sala dei mosaici” assoggettata al mosaico di Toti Scialoja (all’anagrafe Antonio Scialoja, Roma, 16 dicembre 1914 – Roma, 1º marzo 1998, pittore e poeta), “Senza titolo”, opera del 1966. Diego m’indica il rialzo a quattro gradini per oratori e foto ufficiali sotto il mosaico, dove campeggiano le bandiere degli Stati Uniti d’America, d’Italia e dell’Unione Europea, tracce di qualche convegno o conferenza stampa internazionale tenutasi in precedenza.

Proseguiamo oltre, passando davanti alla porta (chiusa) dell’ufficio del ministro stesso degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale nel Governo Conte dal 1° giugno 2018, Enzo Moavero Milanesi (Roma, 17 agosto 1954), giurista ed accademico. Diego sembra pregustare il momento in cui farà “bingo” con me, mostrandomi documenti d’eccezionale valore conservati in teche sicure. Tra quelli che sottopone alla mia attenzione uno fa fare un sobbalzo alla mia passione storica, non sapendo prima che sia ben custodito tra le coltri della Farnesina. Si tratta (a quanto constato) di due copie originali, in lingue italiana e tedesca, elegantemente rilegate in rosso, del famigerato “Patto d’amicizia e di alleanza fra l’Italia e la Germania” (“Patto d’acciaio”, in tedesco Stahlpakt), firmato a Berlin/Berlino il 22 maggio 1939 dai ministri degli Esteri Galeazzo Ciano (Gian Galeazzo, Livorno, 18 marzo 1903 – Verona, 11 gennaio 1944) per il Regno d’Italia e Joachim von Ribbentrop (Wesel, 30 aprile 1893 – Nürnberg/Norimberga, 16 ottobre 1946) per la Germania nazista. Atto formale d’alleanza sia difensiva che offensiva in 7 articoli, siglato nella Cancelleria del Reich ed alla presenza di Adolf Hitler e dello Stato maggiore tedesco. Costituiva il funereo preludio ad una fase d’ipocrita “non belligeranza” fascista prima dell’entrata in guerra, il 10 giugno 1940 (fatalmente, 79 anni prima della mia visita a Brasioli ed alla Farnesina ed alla “vista diretta” del trattato bilaterale), a fianco del Drittes Reich (Terzo Impero o Terzo Stato). Dopo aver chiesto il permesso a Diego, sorridente per aver sollecitato la mia curiosità, fotografo quanto è fotografabile nella vetrinetta. Sono uno scoop che emoziona quelle due firme in duplice copia (in calce ai testi in lingue italiana e tedesca), del genero di Benito Mussolini, Galeazzo Ciano e di Joachim von Ribbentrop, ancor vive nonostante la tragica fine di chi le vergò: il primo fucilato alla schiena l’11 gennaio 1944 al poligono di tiro di Verona assieme ad altri quattro ex gerarchi fascisti (Giovanni Marinelli, Luciano Gottardi, Carlo Pareschi ed Emilio De Bono) alla conclusione della procedura-vendetta contro i “traditori del 25 luglio” ed il secondo impiccato il 16 ottobre 1946 a Nürnberg/No-rimberga al termine del processo omonimo ai principali criminali di guerra nazisti (dopo di lui vennero giustiziati Wilhelm Bodewin Johann Gustav Keitel, Ernst Kaltenbrunner, Alfred Rosenberg, Hans Michael Frank, Wilhelm Frick, Julius Streicher, Ernst Friedrich Christoph “Fritz” Sauckel, Alfred Jodl ed Arthur Seyss-Inquart).

Ma la sabbia della clessidra è scesa velocemente, esaurendo tempo e rimandando ad altre occasioni eventuali nuove sorprese tra ieri ed oggi in “Casa Farnesina”. Gli impegni istituzionali di Brasioli premono e deve preparare relazioni e quant’altro per la sua partenza in missione a Delhi (India), il giorno successivo. Mi riaccompagna verso l’uscita e, tra ascensore e scale, c’imbattiamo in un anziano ex diplomatico (di cui non rammento il nome) ed al quale mi presenta. Appena allontanatosi, Diego mi sussurra che è uno della vecchia cerchia di Giulio Andreotti (Roma, 14 gennaio 1919 – Roma, 6 maggio 2013) che ancora bazzica nel ministero. Andreotti, cioè un vero “monumento”, nel bene e nel male, della politica italiana, sette volte presidente del Consiglio, otto ministro della Difesa, cinque ministro degli Affari esteri, tre ministro delle Partecipazioni statali, due ministro delle Finanze, ministro del Bilancio e della Programmazione economica e ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, una ministro del Tesoro, ministro dell’Interno, ministro per i Beni culturali e Ambientali (ad interim) e ministro delle Politiche comunitarie.

Torniamo alla réception a pianoterra, riconsegno il mio pass all’addetto e riprendo il mio documento d’identità. Infine, anticipandogli mie nuove comunicazioni più costruttive, nell’ottica di progettualità attinenti e sulla scorta di quanto accennato assieme, Diego ed io ci ripromettiamo vicendevolmente una nuova opportunità d’abboccamento quanto prima. Una stretta di mano ed un abbraccio concludono il paio d’ore che lui, amico “antico” (come l’ho “bollato” in mie e-mail), m’ha dedicato. Poi, rientra verso il suo ufficio, quasi risucchiato dalla “macchina burocratica” ed io ricevo la sberla del caldo esterno, dopo tanta “consolante” aria condizionata… ministeriale. Prima d’avviarmi verso i paraggi della stazione Termini indugio attorno alla “Sfera Grande” di Pomodoro, nel piazzale della Farnesina, non resistendo alla tentazione d’un selfie con l’opera. Finale alla buona (narcisistica?) d’una mattinata romana esclusiva, non solo d’amarcord

 

FLASHBACK: DIEGO BRASIOLI CONSOLE GENERALE A LOS ANGELES DAL 2003 AL 2007

 

 

In senso orario:

1 - Los Angeles (California, Usa/ Stati Uniti d’America), 25 febbraio 2006. Il console generale, Diego Brasioli, con la regista e sceneggiatrice Lina Wertmüller (all’anagrafe Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, Roma, 14 agosto 1928) al ricevimento nel Consolato (1900 Avenue of the Stars, #1250 – Los Angeles, CA 90067) in onore dell’Italia da Oscar. 

 

2 - Los Angeles (California, Usa/ Stati Uniti d’America), 26 febbraio 2006. Inaugurazione del Los Angeles, Italia. Film, fashion and food Festival, nel Chinese Theatre, in Hollywood Boulevard. Brasioli assieme a Tony Renis (pseudonimo di Elio Cesari, Milano, 13 maggio 1938), cantautore, compositore, attore e produttore discografico. 

 

3 -Los Angeles (California, Usa/ Stati Uniti d’America), 19 febbraio 2007. Il diplomatico celebra nella sede consolare in Beverly Hills il tradizionale Festival del cinema italiano. Brasioli è con Brigitte Nielsen (Rodovre, Danmark/Danimarca, 15 luglio 1963, attrice, modella, conduttrice televisiva e cantante naturalizzata italiana).

 

4 - Diego Brasioli ancora con Tony Renis.

 

(Fonti: Internet)