Giulio Meotti, autore del saggio intitolato “Notre-Dame brucia” tratta con esperta visione e ottima narrativa il problema delle radici europee che vanno in fumo, così come è accaduto con Notre-Dame, non solo simbolo di un patrimonio storico e culturale francese, ma soprattutto di una Europa che ha da tempo cancellato dalla memoria le sue radici, specialmente quelle ebraico-cristiane, tanto invocate, anche di recente, da Giorgio Heller, uno dei candidati alla presidenza della Comunità Ebraica di Roma.

Il basso tasso di natalità in Europa e principalmente in Italia (essa è il quarto paese dell'Unione europea per popolazione, dopo Germania, Francia e Regno Unito ed il 23º al mondo, ma - sotto il profilo demografico - si conferma uno dei paesi con il più basso tasso di natalità del pianeta: 8,6 nascite/1.000 persone nel 2017 e 10,4 decessi/1.000 persone nello stesso anno) preoccupa e non poco.

Infatti, in accordo con le ultime rilevazioni dell'ISTAT al 1º gennaio 2017 i giovani fino a 14 anni di età sono quasi 100.000 in meno rispetto al 2016 e rappresentano il 13,5% del totale; le persone con oltre 65 anni d'età risultano in aumento di 160.000 unità e ormai rappresentano il 22.6% della popolazione, mentre i cittadini stranieri sono in costante aumento e costituiscono, al 1º gennaio 2018, l'8,5% del totale.

Per molti questi numeri sono solo dati statistici, per noi sono motivi di allarme.

Il crollo della natalità, l’immigrazione incontrollata di genti ad alto indice di fecondità e diverse per cultura e religione, nonché la crisi della fede per la politica piuttosto sindacalista che cristiana del romano pontefice costituiscono le premesse di pericolosi contrasti e sovvertimenti sociali di vaste proporzioni.

Senza contare l’impostazione neoliberista che sta portando allo sfascio l’intero continente, tanto arenato, oramai, in una situazione sempre più intrigata e complessa da non riuscire a ritrovare il giusto equilibrio economico e sociale.

Gli sporchi giochi di palazzo dei vecchi arcosauri della politica per tenere in mano il timone del bastimento Europa fanno il resto.

Per di più, le ben decantate delocalizzazioni, tanto per menzionare una delle varie strategie economiche del sistema globale, si sono rivelate un flop completo.

La sperata riduzione dei prezzi dei prodotti, bandiera della delocalizzazione, non si è verificata: le aziende delocalizzano con rilevante perdita dei posti di lavoro e se le merci escono dalle catene di produzione a bassi costi è anche vero che da noi rientrano a prezzo pieno o quasi.  

Ad esempio, un prodotto fabbricato in Europa con un costo di 10 euro e con un prezzo al pubblico di 12 euro rende al produttore 2 euro. Lo stesso prodotto, fabbricato nei paesi con stipendi da fame al costo di 5 euro e rivenduto in Europa a 10 euro renderà al produttore 5 euro. Il consumatore, in sostanza, risparmia due euro per un prodotto, che non possiede, dipendendo dal paese di provenienza, qualità e durevolezza, mentre il produttore si beneficia del maggior lucro!

Evidentemente nel sistema globalizzato c’è più di qualcosa che non funziona; ci troviamo con un doppio problema! Economico, per effetto della stessa globalizzazione, e sociale, per effetto delle progressive inclusioni di popolazioni di altri continenti, quelle stesse inclusioni che ebbero inizio durante il rinascimento europeo e che inaugurarono il c.d. “sistema-mondo” con il quale ci confrontiamo e ci scontriamo oggi, più che mai.

Il problema migratorio è vecchio come il cucco, è vero, come è altrettanto vero il fatto che le culture sono fluide in quanto seguono le migrazioni cui sono connesse. Ciò stante, il fenomeno “multiculturalismo”, che dalle migrazioni scaturisce, ha le sue stagioni di fioritura come qualsiasi elemento del regno vegetale e, allo stato, in Europa non si è nella buona stagione.

In altre parole, se per “multiculturalismo” intendiamo la coabitazione tra differenti gruppi linguistici, religiosi, culturali nel medesimo territorio, come in passato è già avvenuto sin dal periodo greco-romano, oggi non sussistono i presupposti per il buon esito di questo processo, che andrebbe per tanto sospeso.

I motivi sono palesi: in primo luogo, con l’attuale crisi economica non si è in grado di sopportare l’onere, che un’ondata immigratoria di vaste proporzioni comporta, secondariamente, gli immigrati di oggi - maldisposti all’integrazione - presentano più differenze che similitudini nei riguardi degli ospiti Europei.

A tal proposito, riprendo un significativo brano del saggio pubblicato sul sito Imperium Romanum (https://www.romanoimpero.com/2009/09/romano-impero.html), che invito a leggere e in cui si parla di Romani e Barbari. 

Esso così recita: “Nell’antica Roma il 75% degli abitanti era di origine straniera, un coacervo di razze di un milione di abitanti, ma per quanto riguarda gli immigrati, la scuola era obbligatoria persino per gli schiavi. Un buon padrone faceva studiare gli schiavi perché potessero fare lavori e commissioni fuori casa. Chiunque entrasse a Roma doveva integrarsi se sperava di lavorare e fare carriera. Poteva adorare i suoi Dei e usare i suoi costumi, ma doveva obbedire alle leggi romane e se sperava di migliorare la qualità della vita doveva occultarsi e accettare le leggi e i costumi romani. Tanta cultura svanì col cristianesimo, le scuole chiusero e il latino si trasformò in tanti dialetti. Nessuno sapeva più leggere e scrivere”… “ Così l´impero romano s´imbarbarì e precipitò nella barbarie del Medioevo”.

La storia si ripete: è questo che vogliamo?

G.& G.Arnò