OSSETI-ALANI-SARMATI

La spada nella roccia di re Artù è solo una leggenda?

 

di Giordano Cevolani

Parlare di Ossezia caucasica è come parlare del Carneade dei Promessi Sposi. La gente comune percepisce infatti l’Ossezia come una realtà fantasma come altre, del tipo dell’Abkhazia e della Transnistria, entità non riconosciute in ambito internazionale, ma unicamente dalla Russia.

Eppure 10 anni fa, poco mancò che si scatenasse nel Caucaso proprio a causa dell’Ossezia meridionale una guerra di vaste proporzioni tra la Federazione Russa e la Georgia. Nell’Ossezia meridionale, in mano a Tbilisi, i georgiani tentarono un processo di assimilazione forzata, che portò alla rivolta osseta, con proclamazione dell’indipendenza. La reazione georgiana fu violentissima e solo l’intervento delle truppe russe impedì un vero e proprio genocidio. Oggi l’Ossezia meridionale è di fatto indipendente, ma attende di diventarlo di diritto, per potersi unire all’Ossezia del Nord ed entrare a far parte della Russia. La caratteristica del nazionalismo osseta è proprio quella di non ricercare l’indipendenza, ma di perseguire l’annessione a Mosca. Desiderio certo più vicino dopo la reazione russa all’ingresso delle truppe georgiane nell’Ossezia del Sud (7 – 12 agosto 2008) ed il riconoscimento di Mosca della sua indipendenza (26 agosto 2008), con relativo accordo militare tra i due Stati.

L’Ossezia del Sud, una piccola repubblica fantasma del Caucaso riconosciuta unicamente dalla Russia

Gli Osseti sono una popolazione indo-europea, discendente dagli Alani, popolo guerriero, che costituisce la tribù più conosciuta dei Sarmati. Nell’Alto Medioevo l’Alania, come allora è conosciuta l’Ossezia, è, nell’ambito caucasico, un regno potente, che traeva profitto dall’essere sulla “via della seta”. Gli Osseti dipendevano dal Patriarcato di Costantinopoli, da cui provenivano i missionari che li hanno convertiti al cristianesimo. Secondo molti studiosi, la lingua ossetica, ancora oggi parlata in alcune zone montane del Caucaso, sarebbe di diretta derivazione della lingua parlata dalle tribù sarmatiche nei primi secoli d.C.

I Sarmati, i ‘principi della steppa’

Quando si parla di Sarmati il pensiero va subito al bassopiano sarmatico, una sterminata unità paesaggistica che percorre la Moldova e attraversa la quasi totalità della Russia europea, fino al corso del fiume Danubio e al bacino dei Carpazi, e una buona parte dei territori di Bielorussia, Ucraina e delle tre repubbliche baltiche.. La sede dei Sarmati nel corso dei secoli variò e la regione Sarmazia non appare ben definita.

I Sarmati erano tribù nomadiche la cui storia inizia nel tardo VI sec. a.C. e si protrae fino al IV sec. d.C. Di loro le fonti storiche parlano come di un popolo iranico della famiglia linguistica indoeuropea, depositari della cultura persiana, divisi in tribù: Iazigi, Roxolani, Aorsi e Alani. Questi ultimi rappresentano la tribù più conosciuta dei Sarmati e lo laro notorietà discende dalla loro abilità come cavalieri che li hanno resi mercenari rinomati e richiesti nel corso delle numerose guerre e invasioni barbariche che hanno portato tra l’altro alla caduta dell’impero romano d’occidente. La storia li ha un po’ ignorati perché non hanno mai avuto figure di primo piano come condottieri, del tipo di Attila per gli Unni, Alarico per i Visigoti, Teodorico per gli Ostrogoti e Genserico per i Vandali con i quali si allearono per stanziarsi in Spagna e NordAfrica.

La grande Sarmazia a nord del Mar Nero (Pontus Euxinus) divisa in Sarmazia Europea e Asiatica in una carta del periodo romano imperiale.

Le testimonianze sono concordi nel definire i Sarmati una popolazione nomade. Erodoto, infatti, li definisce amaxobioi, ovvero viventi sui carri, dediti alla caccia e alla pastorizia. Per tale motivo, gli insediamenti archeologici attribuibili alla loro cultura sono rarissimi e la maggior parte delle informazioni e degli oggetti proviene da necropoli caratterizzate da tumuli funerari, alcuni dei quali di grandissime dimensioni. Le sole testimonianze archeologiche a noi pervenute ci vengono proprio dalle necropoli a kurgan, tombe a tumulo nelle quali venivano sepolti i prìncipi locali insieme alle loro mogli e concubine, agli schiavi, oltre a molti ornamenti e monili tipici della loro cultura, secondo un'usanza diffusa in molte civiltà antiche. I reperti tipici erano le bardature dei cavalli, spade, lance, pugnali, recipienti in argilla, in pietra e in legno e gioielli realizzati in oro, argento e con largo uso di paste vitree policrome che hanno dato vita a decorazioni zoomorfe che testimoniano un gusto artistico tipicamente nomadico, il cosiddetto “stile animalistico”. I Sarmati pur vivendo in territori così estesi già 2500 anni fa, non hanno mai trovato nella storiografia convenzionale una particolare attenzione forse per la loro frammentazione in tribù, che ha sempre impedito di considerarli un popolo unico, con una guida comune riconosciuta. Tra queste tribù, gli alano-sarmati, una popolazione nomade delle odierne Kazakhstan, Ucraina e Moldova, combattevano a cavallo con spada lunga, lancia, arco e scudo. Indossavano armature a scaglie ed elmi conici e nel II secolo erano noti per la loro abilità come cavalieri pesanti. Questa popolazione da nomade qual’era si spostava con facilità e sicuramente venne a contatto con le popolazioni daco-romane a ridosso del Nistro, e come altre popolazioni barbariche a partire dal II-III secolo ottennero di stabilirsi nel territorio dell'impero romano. In cambio dovevano fornire soldati all'esercito romano e si convertirono nel tempo, almeno in parte, al cristianesimo, apprendendo la lingua latina. In particolare, le fonti storiche sottolineano lo status delle donne, che andavano a cavallo, cacciavano, tiravano d'arco, scagliavano lance, prendevano parte alle campagne militari e indossavano le medesime vesti degli uomini.

Leggende arturiane e il mito della spada nella roccia

Nel 175 d.C., l'imperatore romano Marco Aurelio arruolò 8.000 Sarmati nell'esercito romano, 5.500 dei quali furono poi inviati lungo il confine settentrionale della Britannia romana (odierna Inghilterra). Là si unirono alla Legio VI Victrix, in cui prestava servizio un certo Lucio Artorio Casto. Invece di rimandare a casa questi guerrieri una volta terminati i loro 20 anni di servizio, le autorità romane insediarono questi ottimi cavalieri in una colonia militare nell'odierno Lancashire, i cui discendenti compaiono in fonti del V secolo citati come "truppa dei veterani sarmati". Cavalieri alani-sarmati si coprirono di onore combattendo a fianco dei romani, anche contro altri barbari. Erano al fianco dei Romani nelle battaglie vittoriose contro i Visigoti di Alarico a Pollenzo nel 402 d.C. e a Verona l’anno successivo. e contro gli Unni di Attila nel 451 d.C. ai Campi Catalaunici in Gallia nel 451 d.C. A differenza di altri gruppi etnici, a loro territorialmente vicini, come i Goti e gli Unni, la loro storia si è circondata di tratti leggendari e romanzeschi per essersi mostrati a più riprese leali e valorosi compagni d’arme, non propensi a macchiarsi di atti di ferocia e crudeltà. La loro grande capacità di espansione, unita alla loro abilità nell’uso delle armi e alla loro proverbiale destrezza nel cavalcare, hanno fatto nascere il mito dei Sarmati. La cultura del Sarmati che conosciamo oggi attraverso le leggende degli osseti, ritenuti gli unici discendenti rimasti degli alano-sarmati, presenta molte somiglianze con le leggende di Re Artù. Nel loro culto tribale compare il simbolo del drago, come nello stemma usato da Artù e da suo padre Uther e una spada che spuntava dal terreno, che tanto ricorda la "spada nella roccia"; Alcuni accostano la figura di Artù all’eroe nazionale osseto Nart Batraz per aver avuto una storia simile, nella quale entrano le figure di sciamani tipiche della cultura sarmata, che tanto somigliano al Merlino del film King Arthur. Ma qui è la leggenda che subentra alla storia.


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King Arthur, film del 2004, dove il giovane Artorius Castus, da tutti chiamato Artù, ha al suo fianco i cavalieri sarmati, diventati poi i leggendari Cavalieri della Tavola Rotonda.

I Sarmati, come altri barbari a partire dal II-III secolo ottennero di stabilirsi nel territorio dell'Impero romano e che in cambio dovevano fornire soldati all'esercito. Già Marco Aurelio impiegò un contingente di questi ottimi cavalieri in Britannia con il compito di presidiare il ‘vallo Adriano’ dalle incursioni barbariche. Nel 181 d.C. l’imperatore Commodo figlio di Marco Aurelio mandò Lucio Artorio Casto ufficiale (col rango di praefectus) della Legio VI Victrix in Britannia rinforzata di un contingente di 5500 cavalieri pesanti sarmati che lo stesso Artorio aveva fatto trasferire dall’Ucraina meridionale a ridosso del fiume Nistro, là dove si pensa che Artorio avesse militato come centurione e primo pilo della V legione Macedonica. I Sarmati avevano come stendardo un drago, che fu poi adottato dalla cavalleria romana, i "draconari", dando origine, alcuni secoli più tardi, anche al termine dragone per indicare un tipo di truppe a cavallo che costituiranno il nucleo della cavalleria romana in Britannia, come attestato tra l’altro in un’epigrafe della fine del II secolo d.C.. Segno, questo, di grande onore e rispetto per questi forti e fieri cavalieri che talvolta affiancarono i soldati romani in molte vittoriose imprese. Scrittori come C. Scott Littleton, e Linda A.Malcor propongono, tra gli altri, che re Artù potrebbe essere identificato con il dux romano di II secolo, Lucio Artorio Casto, e che le presunte imprese militari di Casto in Britannia e Armorica (odierne Bretagna e Normandia) potrebbero essere state ricordate per i secoli successivi e aver contribuito a formare il nucleo della tradizione arturiana, così come le tradizioni portate dai Sarmati.

Oltre alla loro abilità come cavalieri pesanti (e i guerrieri di re Artù, forse dal nome latino Artorius, sono cavalieri), i Sarmati avevano un'enorme devozione, quasi religiosa, per le spade (il loro culto tribale era rivolto a una spada conficcata a terra, che presenta suggestive analogie con la leggendaria spada nella roccia). Portavano anche vessilli a forma di draghi, un simbolo utilizzato anche da Artù e dal suo presunto padre, Uther Pendragon. Le loro cerimonie religiose erano celebrate da sciamani della loro terra natale, forse come Merlino, e comprendevano l'inalazione di vapori allucinogeni esalanti da un calderone (un richiamo alle leggende sulle visioni del Santo Graal).

In Notitia Dignitatum (Notizia di eventi di rilievo) viene data informazione della presenza nei primi anni del V secolo di 15 colonie militari di Sarmati anche in Italia, soprattutto nella pianura del Po, sotto il comando di un Praefectus Sarmatarum gentilium con una di queste guarnigioni stanziata nell'odierna Pollenzo, nota per essere stata teatro nel 402 della battaglia tra i Visigoti di Alarico e i Romani, fra le cui fila erano presenti cavalieri sarmati. Si ipotizza anche che il piccolo paese di Salmour in Piemonte derivi il nome dall’antico insediamento di Sarmatorium.

Cavalieri sarmati con le loro tipiche corazze alle origini della cavalleria medioevale

Lo storico Ammiano Marcellino descrive i Sarmati nel IV secolo in modo molto simile a ciò che ancora è visibile sulla Colonna Traiana degli inizi del II secolo:

<<Esperti più in razzie che in campo aperto, portano aste più lunghe del consueto ed indossano corazze formate da piastre di corna raschiate e levigate, adattate come piume sulle loro vesti di lino…>> (Ammiano Marcellino, Storie, XVII 12.2-3.)

Alcuni storici vedono nella cavalleria catafratta degli Alani-Sarmati addirittura la premessa logistica a quella che sarà la cavalleria feudale dell’Europa Medievale.

(riportato nel libro Transnistria, il coccodrillo sul Nistro, Garomont, Chisinau 2012, pag.33-34)