una donna-icona e una cometa misteriosa

nel panorama della scienza

L’Egitto è sempre stato la terra dei misteri per eccellenza e non poteva mancare anche in questo caso all’appuntamento con l’ignoto: perché di ignoto si tratta almeno fino ad oggi quando si parla del sasso spaziale Ipazia raccolto anni fa proprio in Egitto che ha una composizione chimica diversa da qualunque altro oggetto conosciuto del sistema solare. Una recentissima ricerca cui hanno preso parte anche due italiani - A. G. Andreoli, Francesco Greco - pubblicata il 15 febbraio 2018 su Geochimica et Cosmochimica Acta mostra che lo studio di Ipazia si è sviluppato in un programma internazionale di collaborazione di ricerca, con il coinvolgimento di un numero crescente di scienziati provenienti da varie discipline. La ricerca si è avvalsa anche della collaborazione del Dott. Mario di Martino dell’Osservatorio Astrofisico di Torino che ha condotto numerose spedizioni nella silica glass , “zona del vetro” del deserto sahariano. Questi studi vengono ripresi e ridiscussi nel convegno Silica2018, un convegno scientifico internazionale su storia e preistoria del Sahara e sul silica glass che si terrà il 14-16 settembre 2018 al Planetario di San Giovanni in Persiceto, Bologna.

L’origine e formazione del sasso sono un vero e proprio mistero per gli scienziati. Raccolto nel deserto Lybian Desert Glass (LDG) scoperto nel 1932 dal cartografo militare inglese Patrick A. Clayton nella porzione sita nell'Egitto occidentale, la pietra Ipazia (o Hypatia) – così chiamata in omaggio all'astronoma, filosofa e matematica Ipazia d'Alessandria – fu definita come extraterrestre nel 2013. A prima vista sembrava un normale sassolino scuro di forma appuntita, pesante appena 30 grammi ma da una serie di analisi chimico-fisiche, condotte da Jan Kramers, dell'Università di Johannesburg, in Sudafrica, e colleghi, sarebbe il frammento del nucleo di cometa, ciò che resta per meglio dire di una cometa entrata nell'atmosfera terrestre 28,5 milioni di fa ed esplosa in migliaia di frammenti che sono poi ricaduti nel deserto libico-nubiano, il lembo più orientale del deserto del Sahara.

Lybian Desert Glass (LDG) “scoperto” nel 1932 dal cartografo militare inglese Patrick A. Clayton, nei corridoi interdunali longitudinali quasi al confine con la Libia, in un’area di 80 x 30 km, da dove provengono i frammenti di silica, un vetro amorfo non cristallino, con proprietà fisiche superiori a quelle di qualsiasi altro vetro di origine umana

Chi era Ipazia?

La pietra o sasso Hypatia è così chiamato in onore a Ipazia, che rappresenta il simbolo dell’amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica. Mai accostamento tra un corpo cosmico e un personaggio appare più appropriato, perché Ipazia è stato un ingegno versatile spaziando all’interno delle scienze naturali e della filosofia. Le sue opere originali sono andate perdute, ma alcune copie sono state ritrovate nel Quattrocento nella Biblioteca Vaticana. Parlarne qui, data l’associazione alla pietra cosmica che non appare casuale, è doveroso perché Ipazia è una vera icona della libertà di pensiero e ricerca, del pluralismo, e del valore delle scienze sperimentali: forse l’ultimo esponente di una tradizione secolare (millenaria, se contiamo l’Egitto) in una città multietnica, come Alessandria. C’è chi sostiene che la nascita della scienza moderna (XVII secolo d.C.) vada retrodatata di circa duemila anni, ossia al 300/200 a.C. e collocabile nella parte ellenizzata del Mediterraneo. Perché questo? Ipazia è l’erede della scuola alessandrina, la più importante comunità scientifica della storia dove studiarono, tra gli altri, Archimede, Aristarco di Samo, Eratostene, Ipparco, Euclide, Tolomeo. Quello che accadde in sette secoli (300 a.c., 415 d.C. anno della morte di Ipazia) ad Alessandria, fu una rivoluzione tecnologica, scientifica e filosofica senza precedenti: la civiltà, che tra le tante conquiste intellettuali ci ha lasciato lidea stessa delle biblioteche e della conservazione del pensiero, è stata cancellata con le sue opere. Sopprimere Ipazia con le sue opere andate disperse e bruciare i 500.000 volumi della Biblioteca di Alessandria, ha significato non poter beneficiare, con 1200 anni di anticipo, di tutto quel sapere medico, scientifico, filosofico che cambiava la concezione del mondo. A Ipazia è intitolato il sito dell’Unesco nel quale vengono aggiornate tutte le iniziative a favore del sostegno della presenza delle donne nella scienza. Il Planetario di Torino ha scelto lei come rappresentante dell’astronomia antica e una miriade di associazioni e comunità femminili ne hanno assunto il nome.

Il celebre affresco ‘la scuola d’Atene’ di Raffaello del 1510 in cui figura Ipazia (a sinistra del riquadro), unica donna presente e che è anche l’unico personaggio che rivolge lo sguardo all’osservatore (un segno a quel tempo di grande stima). Al centro i due più grandi filosofi dell’antichità, Platone e Aristotile e in basso ai piedi della scala Eraclito con le sembianze di Michelangelo

Ipazia era nata ad Alessandria d’Egitto intorno al 370 d.C., figlia del matematico Teone. Fu barbaramente assassinata nel marzo del 415, vittima del fondamentalismo religioso che vedeva in lei una nemica del cristianesimo, forse per la sua amicizia con il prefetto romano Oreste che era nemico politico di Cirillo, vescovo di Alessandria.

Malgrado l’amicizia con Sinesio, vescovo di Tolemaide, che seguiva le sue lezioni, i fondamentalisti temevano che la sua filosofia neoplatonica e la sua libertà di pensiero avessero un’influenza pagana sulla comunità cristiana di Alessandria. Alcune sue opere sono per alcuni versi rivoluzionarie perché nate nello stesso ambiente colto alessandrino, dominato dalla figura di Tolomeo astronomo della Scuola alessandrina, vissuto nel II secolo d.C., il più rappresentativo assertore della teoria geocentrica, che dal suo nome venne chiamata teoria tolemaica e che fu sviluppata nell’opera monumentale dell’ Almagesto (“il più grande”), una mastodontica opera in tredici libri che raccoglieva tutte le conoscenze astronomiche e matematiche dell’epoca. Secondo Sinesio, la studiosa mise in discussione in un commento all’Almagesto, la cosmologia tolemaica che poneva la Terra al centro dell’universo, intuì la relatività dei moti poi descritta da Galileo e l’ellitticità delle orbite dei pianeti annunciata nel 1609 da Keplero. Come dire, una donna di scienza controcorrente in un mondo pervaso dal misoginismo aristotelico e cristiano.

L’assassinio di Ipazia è stato un altro atroce episodio di quel ripudio della cultura e della scienza che aveva causato molto tempo prima della sua nascita, nel III secolo dopo Cristo, la distruzione della straordinaria biblioteca alessandrina, che si dice contenesse qualcosa come 500.000 volumi, bruciata dai soldati romani e poi, successivamente, il saccheggio della biblioteca di Serapide. Dei suoi scritti non è rimasto niente; invece sono rimaste le lettere di Sinesio che la consultava a proposito della costruzione di un idroscopio e di un astrolabio che servì a risolvere alcuni problemi di astronomia sferica.

Ipazia divenne tanto celebre per il suo acume filosofico che molti affrontavano lunghi viaggi per ascoltare le sue lezioni. La sua vita si concluse con una tragica morte, dovuta alle persecuzioni cristiane contro i rappresentanti della scienza ellenistica, che proponevano un razionalismo inconciliabile con la religione emergente. Dopo la sua morte molti dei suoi studenti lasciarono Alessandria e cominciò il declino di quella città divenuta un famoso centro della cultura antica, di cui era simbolo la grandiosa biblioteca.

L’ipotesi dell’impatto cometario

Perché si tratterebbe di una cometa? Lo dimostrerebbe l’insolito contenuto di carbonio atipico anche per un tipo di meteoriti (condriti carbonacee, come ad esempio Murchison, pur ricca di carbonio e materiale organico) e che quindi a prima vista escluderebbe l’appartenenza al mondo delle meteoriti. Le concentrazioni di carbonio trovate sono tali rigettare l'ipotesi che il carbonio provenga da materiali terrestri presenti nel terreno mentre sono invece compatibili con quelle delle particelle di polvere interplanetaria e anche delle polveri della cometa 81P/Wild2 raccolte nel 2004 dalla missione Stardust della NASA. Grazie a una serie di analisi, tra cui la diffrazione a raggi X e la microscopia elettronica a scansione e a trasmissione, l'ipotesi degli autori è che si tratti di un campione di un nucleo cometario, cioè della parte solida centrale di una cometa, che secondo gli attuali modelli sarebbe costituito di roccia polveri e gas congelati. E poi al suo interno al suo interno sono stati trovati microscopici diamanti che hanno origine da una particolare struttura cristallina degli atomi di carbonio, ma solo in particolari condizioni di pressione e che si possono formare anche per effetto delle onde d'urto prodotte da un impatto.
L'impatto con il terreno ha generato temperature fino a 2000 gradi centigradi, fondendo la sabbia e dando origine a un vetro di silice tipico di questo deserto, noto fin dall'antichità, e detto appunto "vetro del deserto libico".

Il 22 novembre 1922 l’egittologo inglese Howard Carter scopriva nella Valle dei Re, per mezzo millennio la necropoli reale di Tebe (ora Luxor) sulla sponda sinistra del Nilo, dove furono sepolti ben 25 sovrani egizi, la tomba di Tutankhamon (1341-1323 a.C.), dodicesimo faraone della XVIII dinastia del Nuovo Regno, figlio e successore del faraone eretico Akhenaton-Amenofi IV. Tra i 5.500 pezzi che formavano il suo tesoro tombale c’era anche uno stupendo pettorale policromo di 50×12 cm, formato da oro, pietre preziose, smalti e paste vitree, con al centro la scultura di uno scarabeo stercorario, simbolo della rinascita solare, di 18×28 mm, formato da una strana pietra traslucida dalla lucentezza vitrea color verde-giallo. Da allora il pettorale venne esposto, assieme all’intero tesoro del faraone in un’apposita ala del Museo egizio de Il Cairo, e in tutte le relazioni, pubblicazioni, cataloghi, didascalie, ecc. la pietra centrale venne definita come calcedonio, nome generico di un biossido di silicio attribuito a pietre dure composte da quarzo compatto di silice traslucida microcristallina con tessitura fibrosa. Niente di più inesatto perché nel febbraio 1996 dinanzi alla teca in cui è conservato il pettorale con la scarabeo, gli occhi esperti di Giancarlo Negro, esploratore sahariano e specialista in arte rupestre preistorica, e del geologo Vincenzo De Michele, curatore di mineralogia presso il Museo di Storia Naturale di Milano, contraddicono l’ipotesi del calcedonio ma ne sostengono la natura extraterrestre trattandosi di una materia assai ben più rara e unica, nota soltanto a pochi studiosi e ad esploratori sahariani con il nome di silica glass o vetro del deserto. Arduo è contestarne il giudizio, perché questo vetro lo conoscono a meraviglia, per avere appena partecipato il mese prima, assieme ad altri studiosi, ad una apposita spedizione di ricerca nel deserto egiziano. Un esemplare di questo vetro, finemente lavorato a forma di scarabeo, è incastonato in un pendente ritrovato nella tomba del faraone egizio Tutankamon.

Particolare dello scarabeo, simbolo della rinascita del Sole, di 18×28 mm, formato dal "vetro del deserto libico", al centro del pettorale di Tutankamon di 50×12 cm formato da oro, pietre preziose, smalti e paste vitree, esposto al Museo Egizio de Il Cairo

Nell’incontro Silica96, organizzato dal Dipartimento di Fisica dell’Università d Bologna fu avanzata l’ipotesi dell’impatto di un grosso corpo celeste nell’atmosfera – asteroide, meteorite o cometa che sia – ad una altezza di 10-12 km avvenuto 28,5 milioni di anni fa, nell’Oligocene medio, producendo sul suolo per il calore la fusione della silice in un vetro amorfo non cristallino, con proprietà fisiche superiori a quelle di qualsiasi altro vetro di origine umana. Un processo analogo a quello di formazione della trinitite, un vetro prodotto dalla sabbia esposta alle radiazioni termiche di un’esplosione nucleare, o anche a quello delle tectiti, oggetti vetrosi formati dal surriscaldamento dovuto all’impatto di corpi celesti. In natura la vetrificazione del quarzo avviene soltanto quando un fulmine colpisce la sabbia, generando le fulguriti. I frammenti di silica, smerigliati dal vento e dalla sabbia e che nella luce abbagliante del deserto brillano come smeraldi, si rinvengono nei corridoi interdunali longitudinali quasi al confine con la Libia, in un’area di 80 x 30 km.

Rappresentazione (in alto) dell’esplosione della cometa avvenuta 28,5 milioni di anni fa che ha generato frammenti del sasso spaziale Ipazia (in basso), poi ricaduti nel deserto libico-nubiano chiamato poi Lybian Desert Glass (LDG)

La pietra Ipazia trovata nella zona del deserto del vetro libico nel sud-ovest dell'Egitto èdominata dalla presenza del carbonio e ricca di microdiamanti. Precedenti studi sugli isotopi dei gas nobili e dell'azoto avevano già suggerito un'origine extraterrestre della pietra.

I ricercatori concordano che Ipazia si è formata in un ambiente freddo, probabilmente a temperature ipergelide, inferiori a quella dell’azoto liquido sulla Terra (-196 gradi). Temperature inimmaginabili all’interno della fascia di asteroidi tra Marte e Giove, da dove proviene la maggior parte delle meteoriti. Anche per quando riguarda l’associazione alle comete che provengono principalmente, dalla fascia di Kuiper, oltre l’orbita di Nettuno e dalla nube di Oort ancora più lontana, nessuno può stabilire oggi un grado stretto di parentela con il sasso in questione, perché conosciamo tra l’altro molto poco sulla composizione chimica degli oggetti spaziali che si trovano a quelle distanze. Fatto ancor più insolito, la matrice contiene composti organici che sono mattoni basilari della vita, una quantità elevata di composti di carbonio molto specifici chiamati idrocarburi policiclici aromatici (IPA): una componente importante della polvere interstellare, che esisteva ancora prima della formazione del sistema solare. Al punto in cui ci troviamo, siamo ancora lontani da una connotazione definitiva del sasso spaziale in grado di stabilirne la provenienza. E la cautela è d’obbligo quando poi si affermi che l’oggetto potrebbe addirittura arrivare dagli spazi oltre la nube di Oort, la ‘siberia’ del sistema solare. Abbiamo già avuto a che fare con uno strano corpo – Oumuamua (‘messaggero’, in lingua hawaiana) - il primo asteroide extrasolare mai osservato dall'uomo scoperto dagli astronomi del Hawaii Telescope. E c’è la tentazione da parte di alcuni studiosi di considerare Hypatia come un frammento di cometa extrasolare. Un’ipotesi che sarebbe oggi solo pseudoscienza.

L’enorme quantità di asteroidi e comete esistenti nel sistema solare

Ipazia rivela l’esistenza di materiale che predata il sistema solare, come l’esistenza di grani presolari (carburo di silicio, grafite, ossidi di alluminio..) e microdiamanti. Il materiale cometario contiene piccole quantità di polvere circumstellare (grani presolari) che si formarono nei venti di stelle evolute o nei getti di esplosioni stellari e sono poi stati incorporati nella nube molecolare da cui è nato il nostro sistema solare. Le abbondanze di questi grani variano tra gruppi diversi di meteoriti e persino tra meteoriti dello stesso gruppo. Lo studio dei grani presolari sta fornendo una grande quantità di informazioni sulle evoluzioni delle galassie, sulla nucleosintesi all’interno delle stelle, sulle proprietà fisiche delle atmosfere stellari, sulle condizioni all’interno della nebulosa protosolare e sui corpi genitori delle meteoriti. (da G.Cevolani in Meteoriti, messaggeri di vita, Aracne, luglio 2017, pp.256).

Frontespizio del libro di G.Cevolani, Meteoriti messaggeri di vita, Aracne, 2017 con l’acrilico dal titolo ‘Comete’ (M.Caruso, 2007)

Ma Ipazia ci rivela qualcosa d’altro, ancora più importante di quanto qui raccontato. La figura della donna di scienza ci fa riflettere sul fatto che il fondamentalismo è tutt’altro che morto. Ipazia ci insegna ancora oggi quale e quanto pervicace possa essere l’odio per la ragione e il disprezzo per la scienza. Il ritratto che ci è stato tramandato è di persona di rara modestia e bellezza, grande eloquenza, capo riconosciuto della scuola neoplatonica alessandrina. Coloro che hanno a cuore le grandi conquiste della modernità devono riflettere sull’evidenza che esistono non solo martiri cristiani ma pure martiri pagani e devono guardare a lei come un’icona della libertà di pensiero, della ricerca e del pluralismo.

È una lezione da non dimenticare.