La degustazione del Cesanese, il vino di Roma protagonista a casa sua

Il rosso protagonista della viticultura Laziale gioca in casa lanciando a tutti un invito all’approfondimento. I vini rossi si sa non sono mai stati il cavallo di battaglia del movimento vitivinicolo laziale, a parte qualche sporadica eccezione sparsa sul territorio. La regione è certamente più vocata per i vini bianchi, che negli ultimi anni stanno recuperando il tempo perduto sulla strada della credibilità. C’è però un vitigno che seppur presente da sempre, negli ultimi quindici anni sta guadagnando sempre più l’attenzione degli appassionati del Lazio e non. Anzi a dirla tutta sembra che la curiosità e l’interesse per il Cesanese siano più vivi all’esterno, che in quella che dovrebbe essere per motivi geografici la piazza dove riscontrare il massimo della popolarità. I motivi sono diversi ed è certo che la piazza romana, la più importante per il mercato del vino italiano e invasa dalle produzioni di tutt’Italia, non abbia reso la vita facile al Cesanese. Altra verità è quella che riguarda i produttori, che soltanto in tempi relativamente recenti si sono resi veramente conto della potenzialità di questo vitigno, facendo convergere i loro sforzi nella ricerca della qualità. Il regno del Cesanese si divide tra il comune di Piglio, unica Docg della regione per i vini rossi, quelli di Affile e Olevano, entrambi Cesanese Doc. Territori contigui ma diversi tra loro così come i vini che il vitigno riesce a dare. Un’interpretazione su cui incide anche la differente regolazione climatica, assicurata dai monti Scalambra e Pila che dominano lo scenario. A raccontarci i loro vini sei produttori, introdotti ed accompagnati da Alessandro Brizi delegato dell’Onav romana che ha ospitato la degustazione. Nei loro interventi sta il valore della tradizione. Una parola spesso usata per meri scopi evocativi, a volte anche fuori luogo, a cui i produttori riescono invece a dare una dimensione reale. Sono gli eredi di quelli che producevano il Cesanese principalmente per il consumo familiare. Oppure destinato al popolo, ai tempi in cui il vino veniva considerato ancora alimento. Raccontano di un vitigno che l’ampelografia ottocentesca considerava tra i migliori del centro sud. Presenza di cui prima ancora si trovano tracce negli antichi documenti dei monaci Benedettini. Nei loro ricordi le vinificazioni in castagno essenza arborea del luogo che ora qualcuno sta recuperando, per valorizzare il territorio con la sua cultura contadina fatta di uomini e lavoro. Grandi botti che grazie ai metodi tradizionali manutentivi, accompagnano il vino nella maturità senza marcarlo. Memorie di abitudini quotidiane, come la semplicità di una merenda in cui qualche goccia di vino bagnava il pane con lo zucchero, quando il Cesanese era per molti “il vino dolce di Olevano”. Oggi invece i Cesanese pur con le dovute differenze di territorio, sono vini dal carattere forte dotati di corpo e struttura ma che non risultano pesanti. La grande bevibilità è assicurata dalla ricchezza del sorso, che mantiene quella quota di acidità necessaria al dinamismo del vino. Il primo a presentarsi al bicchiere è il Bolla di Urbano 2015, Piglio riserva Docg dell’Azienda Pileum, sbuffo alcolico di piccola frutta rossa che precede l’accenno balsamico, le spezie dolci e una leggera sfumatura verde. Succoso e gustoso di frutta al palato, dove l’alcol risulta ben integrato ed il tannino misurato. Nel Romanico 2014 Piglio Docg di Coletti Conti, la frutta si fa più grossa e matura, mentre appare un accenno floreale incorniciato dalla spezie. Il tannino segnala la sua presenza, ma senza disturbare la buona persistenza finale. Si passa ad Olevano con il Neccio Doc di Pietro Riccardi, realizzato in regime biodinamico e con vinificazione in castagno. Qui a guidare sono i toni floreali, poi raggiunti dalla frutta che introduce le note dolci di tabacco da pipa. Sorso fresco e gustoso, con tannino già piacevole ma che ancora deve evolvere completamente. L’altro rappresentante di Olevano e Damiano Ciolli con il Cirsium Riserva Doc 2014. Bouquet di bella complessità tra frutto, fiore ed erbe aromatiche, quasi medicinali essiccate, spezie e tabacco dolce. In bocca grande equilibrio e bella lunghezza finale. Ultimo territorio indagato ma solo in ordine temporale è quello di Affile, rappresentato dall’Azienda Formiconi con il Cisinianum Dop 2015, che già nei toni del colore denuncia i caratteri della giovinezza. Vinificato in solo acciaio, oltre ai toni fruttati e poi floreali porta con se accenni balsamici vegetali. In bocca grande freschezza e tannino già piacevole che darà più avanti il meglio di se. L’altro vino di Affile che chiude anche la degustazione, è il Gaiano Doc 2012 della Società Agricola Colline di Affile. Progetto iniziato nel 2003 con l’obiettivo di salvaguardare e custodire i vecchi vigneti della zona, che vede la partecipazione di gran parte degli abitanti del paese. Tra tutti i vini della batteria di degustazione, è quello che lascia più spazio agli aspetti terziari. In una bella complessità sullo sfondo del frutto emergono le note balsamiche, il pepe e la liquerizia. In bocca grande equilibrio e freschezza che assicurano la possibilità di un viaggio ancora lungo nel tempo. Con questo vino la degustazione termina in bellezza, lasciando a quanti non lo conoscevano un invito all’approfondimento e solamente certezze per chi lo aveva già incontrato.

Bruno Fulco